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CONSIGLIO DI STATO- PROCESSO AMMINISTRATIVO - SEZIONE QUARTA - NR.623 DEL 10 FEBBRAIO 2014

PROCESSO AMMINISTRATIVO - CLAUSOLA DI STILE DI IMPUGNAZIONE ATTI PRESUPPOSTI E CONNESSI - INAMMISSIBILITA' DELLA IMPUGNATIVA IN QUANTO IMPEDISCE PER LA SUA GENERICITA' AL GIUDICANTE DI ESTENDERE IL CONTROLLO GIURISDIZIONALE SU ATTI CHE AVREBBERO DOVUTO ESSERE APPOSITAMENTE INDICATI E FATTI OGGETTO DI SPECIFICHE CENSURE

 

Autore/Fonte: www.giustizia-amministrativa.it AVVOCATO NARDELLI (STUDIO LEGALE NARDELLI)          
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 PROCESSO AMMINISTRATIVO  - CLAUSOLA DI STILE - INAMMISSIBILITA'

N. 00623/2014REG.PROV.COLL.

 

N. 05605/2013 REG.RIC.

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato

 

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

 

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 5605 del 2013, proposto da:

Zurrida Valeria in proprio ed in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della Società Chasseral Srl, nonché in qualità di socio accomandatario e amministratore della Società Eucalyptus di Chasseral s.r.l., rappresentato e difeso dall'avv. Gianfranco Carboni, con domicilio presso l’avv. Peter Farrel, in Roma, via Nostra Signora di Lourdes, 25;

 

 

contro

 

Comune di Capoterra, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Sergio Cassanello e Antonello Garau con domicilio eletto presso l’avv. Tonio Di Iacovo in Roma, viale di Castro Pretorio, 122;

 Regione Sardegna, rappresentata e difesa dagli avv. Alessandra Camba e Sandra Trincas, domiciliata presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione stessa, in Roma, via Lucullo, 24;

 

 

per la riforma

 

della sentenza del T.A.R. SARDEGNA - CAGLIARI: SEZIONE II n. 00301/2013, resa tra le parti, concernente espropriazione aree per opere di pubblica utilità - risarcimento danni.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

 

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Capoterra e Regione Sardegna;

 

Viste le memorie difensive;

 

Visti tutti gli atti della causa;

 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2013 il Cons. Andrea Migliozzi e udito per la parte ricorrente l’avvocato Gianfranco Carboni;

 

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

 

 

FATTO

 

Le società Chasseral ed Eucalyptus sono proprietarie di aree site in Comune di Capoterra, classificate, come riferito in gravame, come edificabili e destinate, rispettivamente, l’una a centro commerciale e l’altra ad albergo. Tali terreni venivano interessati da una procedura ablatoria posta in essere dal predetto Comune per la realizzazione di un impianto di sollevamento e relative condotte, il cui progetto era approvato in forza di tre successive delibere (rubricate a numeri 813, 366 e 155) assunte rispettivamente nel 1993, nel 1995 e nel 2000.

 

Interveniva, quindi, la determinazione n.5/32 del 15/5/2002 della Regione Sardegna, con cui era decretata la espropriazione delle aree di proprietà delle anzidette Società ai fini della realizzazione del progetto di completamento di opere fognarie e di depurazione nonché di risanamento igienico del territorio.

 

Chasseral ed Eucalyptus impugnavano tale provvedimento innanzi al Tar della Sardegna, che con sentenza n.301/2013 rigettava il ricorso, ritenendolo infondato.

 

Le suindicate Società hanno così impugnato tale sentenza, deducendo la erroneità delle osservazioni e delle statuizioni rese dal primo giudice in ordine ai vari profili di doglianze denunciati in prime cure. Al riguardo in questa sede vengono proposti cinque mezzi d’impugnazione, così riassumibili:

 

1) eccesso di potere e violazione di legge per mancata comunicazione alla ricorrente dell’avvio del procedimento;

 

2) violazione di legge in quanto il decreto di esproprio è stato assunto senza una ancora efficace dichiarazione di pubblica utilità;

 

3) eccesso di potere per irrazionalità ed ingiustizia manifesta;

 

4) eccesso di potere per contraddittorietà della destinazione di zona;

 

5) erroneità della decisione del Tar in ordine alla richiesta risarcitoria.

 

Si è costituito in giudizio l’intimato Comune di Capoterra, che ha contestato la fondatezza dei motivi dell’appello, chiedendone la reiezione.

 

Si è costituita anche la Regione Sardegna.

 

All’udienza pubblica del 10 dicembre 2013 la causa è stata introitata per la decisione.

 

DIRITTO

 

L’appello si rivela infondato, meritando l’impugnata sentenza integrale conferma.

 

Il decisum del primo giudice, con riferimento alla causa petendi e al petitum ivi dedotti, è imperniato su un assunto di carattere sostanziale e processuale ritenuto determinante per la soluzione delle questioni giuridiche sollevate, quello per cui i vizi di legittimità denunciati dalla parte ricorrente riguardano in realtà gli atti posti a monte del provvedimento conclusivo del procedimento ablatorio e non fatti oggetto di specifica impugnazione nei termini decadenziali, con conseguente inammissibilità dei profili di doglianza dedotti per la prima volta con l’impugnazione del decreto finale di esproprio.

 

Ebbene, il rilievo posto a base delle statuizioni sfavorevolmente adottate dal Tar si appalesa esatto, quanto ai presupposti che lo reggono, e congruo in relazione agli effetti che ne conseguono.

 

In effetti, com’è agevole evincere dalla disamina dei mezzi di gravame a suo tempo formulati e qui riproposti, parte appellante (originaria ricorrente) si duole in concreto di due aspetti dell’operato del Comune:

 

a) della scelta, a suo dire illogica, assunta dall’Amministrazione in ordine alla localizzazione delle opere pubbliche da realizzarsi sui suoli di sua proprietà;

 

b) della inosservanza da parte del Comune di Capoterra degli obblighi procedimentali sussistenti in capo all’Amministrazione procedente.

 

Trattasi di critiche che si appuntano su fatti, circostanze e momenti decisionali della Pubblica amministrazione come cristallizzati in determinazioni che sono state adottate anteriormente alla conclusione del procedimento espropriativo, coincidente, appunto, con la determinazione n.5/32, e costituenti un prius logico-cronologico che andava fatto oggetto nei tempi prescritti di apposite censure.

 

La mancata, specifica contestazione giudiziale di tali atti, costituiti in particolare dalle delibere di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera approvata e dall’occupazione d’urgenza dei terreni de quibus, preclude la possibilità di far valere profili di invalidità degli stessi, tenuto conto che la contestazione giudiziale dell’ultimo degli atti assunti, il provvedimento regionale che decreta l’espropriazione, non può, per l’autonomia delle varie fasi facenti parte della fattispecie procedimentale qui in rilievo, riverberarsi su quelli precedentemente adottati dall’Amministrazione comunale.

 

Parte appellante si difende sul punto facendo osservare come in realtà, unitamente al decreto regionale di esproprio del 15/5/2002, sono stati impugnati “tutti gli altri atti connessi e presupposti facenti parte del relativo procedimento”, di guisa che tale circostanza impedirebbe la dichiarazione di inammissibilità delle censure di violazione di legge (mancata comunicazione dell’avvio del procedimento) e di eccesso di potere sotto vari profili, rivolte all’agire del Comune.

 

L’argomentazione difensiva non appare condivisibile, posto che la locuzione utilizzata in ricorso non è idonea ad impedire la decadenza delle facoltà processuali che avrebbero dovuto essere esercitate nei tempi e nei confronti di determinazioni immediatamente lesive e meritevoli di autonoma impugnativa.

 

Così, la formula utilizzata, al di là della questione relativa alla non tempestività dei provvedimenti autonomamente impugnabili (deliberazioni comunali recanti la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera approvata, decreto di occupazione d’urgenza), per la sua genericità, impedisce comunque al giudicante di estendere il controllo giurisdizionale a determinazioni che avrebbero dovute essere in primo luogo appositamente indicate, oltreché fatte oggetto di specifiche doglianze dirette a far constare la sussistenza a carico delle stesse, in ragione del loro contenuto, di eventuali vizi di legittimità ( cfr, ex multis, Cons. Stato Sez. III 19/9/2011n. 5259; Cons. Stato Sez. V 11/1/2011 n.80).

 

Ne deriva che le censure di cui ai motivi sub 1), sub 2), sub 3) e sub 4) sono improponibili.

 

Rimane da scrutinare il motivo sub 5), su cui pure insiste parte appellante: a suo avviso, la domanda risarcitoria avanzata in ricorso doveva essere esaminata dal primo giudice indipendentemente dalla inammissibilità della parte impugnatoria del ricorso, in applicazione dei principi in materia di pregiudizialità espressi dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato con la sentenza n.3/11;

 

inoltre la pretesa patrimoniale rivendicata si appaleserebbe fondata in ragione della illiceità della condotta tenuta dall’Amministrazione.

 

Il Collegio è ben a conoscenza della possibilità di attivare, sotto l’aspetto processuale, un’azione risarcitoria anche a prescindere dal rimedio impugnatorio, secondo i dettami dell’art. 30 c.p.a. e in tal senso depongono le osservazioni e statuizioni di cui alla citata decisione dell’A P. n.3/2011; ma nella specie mancano le condizioni minime di configurablità e di fondatezza della pretesa risarcitoria fatta valere in prime cure come in appello.

 

Invero, anche a non voler ricorrere alla regola della non risarcibilità dei danni evitabili in ragione della mancata diligente utilizzazione degli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento ( cfr Cons. Stato Sez. IV 6 marzo 2012 n.1750), nella specie le ragioni preclusive di un giudizio favorevole, nonché dello stesso scrutinio della domanda risarcitoria assumono una più pregnante rilevanza.

 

La rivendicazione di una pretesa risarcitoria va comunque ricondotta nell’alveo del rapporto giuridico di responsabilità extracontrattuale di cui all’art.2043 del codice civile, pure sussumibile in linea generale in capo alla P.A., secondo i noti principi sanciti dalla notissima sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n.500/99, in presenza beninteso degli elementi costitutivi dello schema di responsabilità patrimoniale, costituiti dalla colpa grave dell’Amministrazione (elemento soggettivo), dalla condotta antigiuridica e dal nesso di causalità tra il comportamento (omissivo e/o commissivo) del potere esercitato e l’evento danno.

 

Ebbene, nessuno dei predetti elementi viene a giuridica esistenza nel caso de quo:

 

a) non quello oggettivo, posto che nessuno degli atti dell’intero iter procedimentale diretto all’ablazione della aree di che trattasi (compreso quello finale dichiarativo dell’espropriazione ) risulta affetto dagli asseriti vizi di validità e neppure è evincibile una condotta della P.A. contra ius;

 

b) non quello soggettivo, atteso che ogni indagine sul punto presuppone un accertamento giudiziale di illegittimità del comportamento dell’Amministrazione, nella specie non intervenuto per quanto sopra evidenziato.

 

In pratica, sono assenti, nella specie, le condizioni minime di fatto e di diritto indispensabili per configurare la sussistenza di una responsabilità di tipo aquiliano, di cui allo schema giuridico consegnato dalla suindicata norma del codice civile,suscettibile di produrre, in linea di massima, un ristoro patrimoniale, fatto salvo peraltro l’onere probatorio della dimostrazione concreta dei danni.

 

In forza delle suestese considerazioni, l’appello,in quanto infondato, va respinto, con la precisazione che ogni altro profilo di doglianza dedotto e/o adombrato deve ritenersi assorbito e comunque non rilevante a mutare l’esito della controversia.

 

Le spese e competenze del presente grado del giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

 

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese e competenze del presente grado del giudizio, che si liquidano complessivamente in euro 3.000,00 (tremila/00) oltre Iva e CPA.

 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

 

 

Paolo Numerico, Presidente

 

Nicola Russo, Consigliere

 

Diego Sabatino, Consigliere

 

Raffaele Potenza, Consigliere

 

Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

   

   

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

   

   

   

   

   

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

 

Il 10/02/2014

 

IL SEGRETARIO

 

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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