<< precedente | successiva >> |
«GUERRA TRA TONACHE»
|
|
|
La vicenda parte da lontano tant'è che i giudici civili di primo grado (che avevano dato ragione alla diocesi tarantina) e di appello (che hanno ribaltato la prima decisione) hanno ricostruito una serie di passaggi che partono addirittura dalla fine dell'Ottocento e i primi anni del secolo scorso, passando per il Concordato del 1929 e del suo «aggiornamento» con l'accordo Stato-Santa Sede avvenuto con la legge del 25 marzo del 1985. La questione giudiziaria ha visto sfilare in aula anche testimoni eccellenti (a partire dall'ex vescovo di Taranto, mons. Motolese) nel tentativo di far tornare nel patrimonio della curia quell'immobile di pregio visto il valore immobiliare che attualmente esprime. Ad inizio del Novecento, lì - in via De Cesare - c'era solo la Parrocchia del Crocifisso, il Comune di Taranto affida il terreno di 500 metri quadrati al «Parroco», salvo poi saltar fuori un atto tra l'Arcivescovo di Taranto e l'Ordine carmelitano di affidamento della chiesa e delle pertinenze alle «cure» dei carmelitani. Le opere di costruzioni fatte nel periodo 1900-1905 e quelle successive, nel 1954-57 quando spuntarono i tre piani (ora diventati sette), furono commissionate sempre e soltanto dalla «Parrocchia». Tuttavia, secondo i giudici della sezione civile della Corte di appello (presidente Riccardo Alessandrino, relatore Loredana Colella), se è pur vero che quell'atto di concessione non poteva configurarsi come trasferimento di proprietà o alienazione, è pur vero che ogni riferimento all'immobile era a quella esistente prima che venisse abbattuto e poi rifatto (dopo il 1954, appunto). Da qui ne deriva il diritto di usucapione da parte della «Curia provincializia di Bari della Provincia napoletana dei Carmelitani dell'Antica osservanza», grazie a una serie di documentazioni allegate agli atti. Uno fra tutti: il contratto di affitto per 15 anni con una banca, o con l'ufficio tecnico comunale e così via per i vari aggiornamenti e modifiche. Ma non è tutto: nel 1986 i carmelitani chiesero e ottennero dal pretore di Taranto lo «sfratto » di alcuni immobili al quarto piano occupati dall'azione diocesana di Taranto. Inoltre sarebbe stata la stessa diocesi di Taranto a «tradirsi» in un ricorso al Consiglio di stato nel quale dava atto di una richiesta a rettificare con atto notarile «il possesso pacifico e legittimo ed ininterrotto dell'immobile da oltre 50 anni». Insomma, è incontestato che i padri carmelitani abbiano sempre mantenuto il possesso dell'immobile anche se i giudici – accogliendo l'articolata tesi difensiva dell'avv. Sante Nardelli e Giovanni Vittorio Nardelli, entrambi del foro di Bari - sottolineano che tale diritto è iniziato a decorrere nel 1958 per poi concretizzarsi vent'anni dopo, nel 1978, con l'avvenuta usucapione che per legge trasferisce la proprietà di un bene. Sulla vicenda si incrocia anche un ricorso al Tar, fatto nel 1990, contro il decreto del ministero dell'Interno che recependo il nuovo Conordato stilò un elenco dei beni trasferiti alla diocesi di Taranto, includendo appunto quello dei carmelitani. La sospensiva fu accolta (confernata dal Consiglio di stato) e il giudizio di merito fu sospeso in attesa della sentenza civile. I giudici tarantini, così come prevede la legge, hanno comunque deciso di non tener conto di quel provvedimento amministrativo non avendo poteri per annullarlo. Ma la vicenda sembra ormai chiarita. Dopo un secolo. |
Autore/Fonte: AVVOCATO NARDELLI (STUDIO LEGALE NARDELLI)
Autore / Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno
<< precedente | successiva >> |