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29 AGOSTO 2011 - CONSIGLIO DI STATO QUARTA SEZIONE NR.4834 DEL 29 AGOSTO 2011

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' - IRREVERSIBILE TRASFORMAZIONE DEL SUOLO - RESTITUZIONE DEL BENE AL PRIVATO PURE IN PRESENZA DI COSTRUZIONE DELL'OPERA PUBBLICA - NECESSITA' - A SEGUITO DELL'ESPUNZIONE DALL'ORDINAMENTO DEL PROCEDIMENTO DI CUI ALL'ART.43 DEL DPR 327/2001 L'AMMINISTRAZIONE PUO' SOLO RITENERE IL BENE A SEGUITO DI ACCORDO CON IL PRIVATO OPPURE A SEGUITO DI UN NUOVO PROCEDIMENTO ESPROPRIATIVO

 

 

 

 

N. 04834/2011REG.PROV.COLL.

N. 06810/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6810 del 2009, proposto da:
Pucci via Veneto S.p.A. (Gia' Soc. Gen.Le degli Alberghi di Montecatini - Spatz Suardi Spa), rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Giovannelli, Mario Sanino, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180;

contro

Comune di Montecatini Terme, rappresentato e difeso dall'avv. Fabio Cannizzaro, con domicilio eletto presso Nicola Rivellese in Roma, via degli Scialoja, 3;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE: SEZIONE I n. 00542/2009, resa tra le parti, concernente ESPROPRIO TERRENI - RISARCIMENTO DEL DANNO

 


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Montecatini Terme;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2011 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Giovanni Giovannelli, Mario Sanino e Fabio Cannizzaro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


 

FATTO

1. Con l’appello in esame, la società ricorrente impugna la sentenza 26 marzo 2009 n. 542, con la quale il TAR Toscana, sez. I, ha respinto il suo ricorso, proposto per ottenere la condanna del Comune di Montecatini Terme “al pagamento delle indennità risarcitorie conseguenti all’esproprio, e comunque all’occupazione usurpativa” di taluni terreni di sua proprietà siti in viale Adua di quel Comune.

La sentenza appellata, dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, afferma l’intervenuta prescrizione del diritto azionato, posto che.

- il termine (quinquennale) di prescrizione “decorre dalla data di irreversibile trasformazione del fondo occupato . . . che nella specie è individuata nella data di ultimazione dei lavori, cioè il 2 maggio 1993”;

- il “primo atto giudiziario di richiesta . . . di risarcimento danni per occupazione acquisitiva è la notifica del ricorso giurisdizionale al TAR in esame, avvenuta il 7 maggio 2004, quando il termine quinquennale era ormai spirato sia guardando alla irreversibile trasformazione sia alla notificazione del ricorso in Corte d’Appello” (quest’ultimo dapprima proposto, poi rinunciato dall’odierna appellante).

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando, in quanto il “termine quinquennale di prescrizione della pretesa risarcitoria”, decorrente dal fatto acquisitivo, “non può ritenersi in alcun modo vigente, sia in quanto non conforme ai principi della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo e del diritto comunitario, sia in quanto incompatibile con l’art. 43 del DPR 327/2001”, con la conseguenza della “perdurante sussistenza del diritto di proprietà e di un illecito permanente in capo alla P.A. medesima che utilizza il fondo altrui”. In particolare, poiché l’art. 43 DPR n. 327/2001 “preclude la possibilità, da parte della P.A., di diventare titolare del diritto di proprietà sul bene in assenza di un titolo previsto ex lege, il decorso del termine prescrizionale non potrà certo calcolarsi dall’irreversibile trasformazione dell’area”;

b) error in iudicando, in quanto sussistono più atti interruttivi della prescrizione;

c) nel merito, “la domanda risarcitoria proposta dalla società ricorrente è assolutamente fondata”, poiché l’occupazione del fondo costituisce “un fatto sicuramente illecito, poiché il decreto non è stato mai emanato e tantomeno lo è stato nel termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità”. Il quantum, in base a CTU svolta su incarico conferito dalla Corte di Appello di Firenze, consiste nella somma di Euro 61.392,79, oltre interessi dal dovuto fino all’attualità, somma da maggiorare della dovuta rivalutazione monetaria (conseguendo l’importo di Euro 79.018,66), ulteriormente maggiorata di rivalutazione monetaria “dovuta per la qualità stessa della parte appellante, che è un’impresa che ricorre al credito bancario”.

Si è costituito in giudizio il Comune di Montecatini Terme, che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza. In particolare, l’appellato Comune ha ribadito la sussistenza della prescrizione, essendosi verificata l’irreversibile trasformazione del suolo.

L’appellato, precisato che l’irreversibile trasformazione del suolo come fatto acquisitivo della proprietà è stato escluso dalla giurisprudenza CEDU e che l’art. 43 DPR n. 327/2001 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, ritiene che la società appellante abbia “optato per la richiesta del risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., venendo in emersione il momento del verificarsi del fatto illecito che per la disciplina codicistica è istantaneo, con la regole connesse, termini prescrizionali compresi”.

Quanto al merito, l’appellato Comune, contestando l’utilizzabilità e le conclusioni della CTU, contesta la “edificabilità legale del terreno”, che, per effetto della variante al PRG del 1988, aveva destinazione a “verde pubblico”, ed era in precedenza destinata, secondo il PRG del 1981, a parcheggio pubblico.

Infine, l’appellato ha contestato l’efficacia della procura alla lite, sottoscritta da soggetto che avrebbe perso il relativo potere.

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, nei limiti di seguito esposti, dovendosi rigettare la preliminare eccezione, relativa all’efficacia della procura alle liti, non essendo stata fornita la prova del momento di conferimento della medesima e quindi della sussistenza, a tale data, del relativo potere.

Al fine di affrontare il (preliminare) tema della prescrizione del diritto al risarcimento del danno per effetto dell’intervenuta ( o meno) perdita del diritto di proprietà a causa dell’illecito della Pubblica Amministrazione, occorre innanzi tutto considerare l’intervenuta espunzione dal nostro ordinamento dell’istituto dell’acquisizione de facto della proprietà in mano pubblica, a seguito della realizzazione di un’opera pubblica.

Questa Sezione ha già precisato (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290) che l’intervenuta realizzazione dell'opera pubblica non fa venire meno l'obbligo dell'amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso; e ciò superando l’interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e all’irreversibile trasformazione effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato.

Infatti, partendo dall’esame della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, deve ritenersi che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza Cedu 30 maggio 2000, ric. 31524/96).

Nella sentenza citata, la Corte ha ritenuto che la realizzazione dell’opera pubblica non costituisca impedimento alla restituzione dell'area illegittimamente espropriata, e ciò indipendentemente dalle modalità - occupazione acquisitiva o usurpativa - di acquisizione del terreno. Per tali ragioni, il proprietario del fondo illegittimamente occupato dall’amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell'occupazione e l'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza sia il risarcimento, sia la restituzione del fondo che la sua riduzione in pristino.

La realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni.

Ne discende che, tranne che l’amministrazione intenda comunque acquisire il bene seguendo i sistemi che di seguito saranno evidenziati, è suo obbligo primario procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta.

Così inquadrato il tema della vicenda, osserva la Sezione che, stante la sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 43 DPR n. 327/2001 (Testo unico espropriazioni), non può più essere azionato il meccanismo procedimentale accelerato ivi previsto.

Conseguentemente, deve ritenersi che il Comune, allo stato, abbia unicamente la possibilità di ottenere il consenso della controparte per la stipula di un contratto di vendita, anche con funzione transattiva, oppure agire con un nuovo procedimento espropriativo.

Da quanto esposto, discende l’accoglimento del primo motivo di appello, con conseguente riforma della sentenza del I giudice, laddove la medesima dichiara prescritto il diritto al risarcimento del danno e, quindi, l’infondatezza del ricorso.

 


 

3. Il Collegio deve, quindi, pronunciarsi sulle modalità cui dovrà attenersi l’amministrazione per la quantificazione del danno risarcibile, fermo rimanendo che, perpetuandosi l’illegittima detenzione fino al momento dell’acquisizione della proprietà, fino a quel momento permarrà anche l’obbligo di tenere indenne il privato dalla conseguenze illegittime del fare amministrativo.

Acclarato che non può essere risarcito il danno da perdita della proprietà, in quanto il diritto dominicale permane in capo al privato non legittimamente espropriato, il risarcimento del danno deve allora operare in relazione alla illegittima occupazione del bene (illecito permanente), e deve pertanto coprire le voci di danno da questa azione derivanti, dal momento del suo perfezionamento fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie.

Ciò impone quindi l’individuazione del momento iniziale e di quello finale del comportamento lesivo.

In relazione al termine iniziale, questo deve essere identificato nel momento in cui l’occupazione dell’area privata è divenuta illegittima, il che significa che decorre dalla prima apprensione del bene, ossia dalla sua occupazione, qualora l’intera procedura espropriativa sia stata annullata, oppure dallo scadere del termine massimo di occupazione legittima, qualora invece questa prima fase sia rimasta integra.

In relazione al termine finale, questo deve essere individuato nel momento in cui la pubblica amministrazione acquisterà legittimamente la proprietà dell’area. A tal proposito, deve evidenziarsi come la già citata interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo ha eliminato ogni possibilità di individuare sistemi di acquisizione diversi da quello consensuale del contratto e quello autoritativo del provvedimento espropriativo. Ciò è avvenuto dichiarando l’illegittimità, per contrasto con il principio di legalità, delle ricostruzioni che miravano ad individuare fatti o comportamenti (e quindi l’avvenuto completamento dell’opera pubblica o la richiesta del solo risarcimento come momento abdicativo implicito della proprietà) idonei a sostituire i sistemi legali di acquisto della proprietà.

Infine, come si è già ricordato, anche lo strumento di cui all’art. 43 DPR n. 327/2001 (che di fatto dava vita ad un procedimento espropriativo accelerato) è stato espunto dall’ordinamento (Corte Cost. 8 ottobre 2010 n. 293).

Pertanto, l’amministrazione può legittimamente apprendere il bene facendo uso unicamente dei due strumenti tipici, ossia il contratto, tramite l’acquisizione del consenso della controparte, o il provvedimento, e quindi anche in assenza di consenso, ma tramite la riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie.

L’illecita occupazione, e quindi il fatto lesivo, permangono, dunque, fino al momento della realizzazione di una delle due fattispecie legalmente idonee all’acquisto della proprietà, sia che questo evento avvenga consensualmente sia che avvenga autoritativamente.

Tanto precisato, venendo ai profili quantificatori, questi possono riferirsi unicamente a due diverse fattispecie: quella dell’acquisto del bene tramite moduli consensuali e quella della quantificazione del danno dovuto per l’occupazione illegittima avutasi medio tempore.

Come già la Sezione ha avuto modo di precisare (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 676) in relazione al valore da corrispondere al privato, dovrà tenersi conto di quello di mercato dell'immobile, individuato “non già alla data di trasformazione dello stesso (non potendo più individuarsi in tale data, una volta venuto meno l'istituto della c.d. accessione invertita, il trasferimento della proprietà in favore dell'Amministrazione), e nemmeno a quella di proposizione del ricorso introduttivo (non potendo, come detto, ravvisarsi in tale atto un effetto abdicativo), bensì alla data in cui sarà adottato il più volte citato atto transattivo, di qualsiasi tipo, al quale consegua l'effetto traslativo de quo”.

In relazione poi al danno intervenuto medio tempore, e quindi a quello conseguente dall’illegittima occupazione, intercorrente tra i termini iniziali e finali sopra precisati, “i danni da risarcire corrisponderanno agli interessi moratori sul valore del bene, assumendo quale capitale di riferimento il relativo valore di mercato in ciascun anno del periodo di occupazione considerato; le somme così calcolate andranno poi incrementate per interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito della presente sentenza”.

Le prescrizioni sopra imposte sono idonee a conformare l’azione amministrativa, rendendo ragione sia delle domande proposte dalla parte appellata, sia delle relative eccezioni di prescrizione che, trattandosi di danni permanenti, non possono essere accolte.

Per le ragioni sin qui esposte, e nei modi e limiti innanzi evidenziati, l’appello deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza appellata.

Sussistono, peraltro, giusti motivi, determinati dalla parziale novità della questione, per compensare integralmente tra le parti le spese processuali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunziando sull’appello proposto da Pucci Via Veneto s.p.a. (n. 6810/2009 r.g.), lo accoglie, nei sensi di cui in motivazione.

Compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 18 gennaio 2011 e 29 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Gaetano Trotta, Presidente

Anna Leoni, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Guido Romano, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 29/08/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


 

 

 

Autore/Fonte: www.giustizia-amministrativa.it AVVOCATO NARDELLI (STUDIO LEGALE NARDELLI)    
 

 

 

 


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