studio legale bari
Studio Legale
09 AGOSTO 2011 - CONSIGLIO DI STATO SESTA SEZIONE NR.4723 DEL 09 AGOSTO 2011

 

COMUNITA' EUROPEA - CONTRASTO TRA DISPOSIZIONE COMUNITARIA  (PUR GIUDICATA COMPATIBILE CON IL TRATTATO DALLA CORTE DI GIUSTIZIA) E COSTITUZIONE ITALIANA - RIMESSIONE DELLA QUESTIONE IN VIA ESCLUSIVA ALLA CORTE COSTITUZIONALE - NECESSITA' IN QUANTO TRATTASI DI QUESTIONE DI CONTROLIMITI COSTITUZIONALI OSTATIVI ALL'APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO DI PRIMAZIA DEL DIRITTO COMUNITARIO -  CIRCOSCRITTA ALLA IPOTESI DI VIOLAZIONE DEI PRINCIPI FONDAMENTALI SUI QUALI POGGIA IL NOSTRO ORDINAMENTO DEMOCRATICO OVVERO DEI DIRITTI INALIENABILI DELLA PERSONA UMANA     

 

 

N. 04723/2011REG.PROV.COLL.

N. 04322/2006 REG.RIC.

N. 04406/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4322 del 2006, proposto da:
Di Lenardo Adriano Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Aldo Bozzi, Giuseppe Bozzi, Claudia M.R. Gatti e Bruno Telchini, con domicilio eletto presso l’avv.Giuseppe Bozzi in Roma, via degli Scipioni 268/A;

contro

Ministero delle attivita' produttive ( oggi dello sviluppo economico), in persona del Ministro e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;



 

sul ricorso numero di registro generale 4406 del 2006, proposto da:
Dilexport Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Aldo Bozzi, Giuseppe Bozzi, Claudia M.R. Gatti e Bruno Telchini, con domicilio eletto presso l’avv.Giuseppe Bozzi in Roma, via degli Scipioni 268/A;

contro

Il Ministero delle attivita' produttive ( oggi dello sviluppo economico), in persona del Ministro pro tempore,rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato , presso i cui uffici domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

quanto al ricorso n. 4322 del 2006:

della sentenza del T.a.r. Veneto - Venezia: Sezione III n. 1120/2005, resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 4406 del 2006:

della sentenza del T.a.r. Veneto - Venezia: Sezione III n. 1121/2005, resa tra le parti, concernenti, entrambe dinieghi di certificato all’importazione di banane

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero delle attivita' produttive;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 giugno 2011 il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e udito per le appellanti l’avv. Telchini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


 

FATTO e DIRITTO

1.Le odierne appellanti sono società commerciali operanti in Italia nel settore dell’importazione di banane. Il mercato delle banane all’interno dell’Unione europea è un mercato contingentato, nel senso che al di fuori di predeterminati contingenti tariffari ( nell’ambito dei quali gli operatori sono ammessi al beneficio del dazio ridotto) le imprese operanti sono assoggettate a dazio pieno. Dal 1994 e fino al primo semestre del 2001 le società appellanti hanno esercitato la loro attività quali operatrici tradizionali nel contingente tariffario A/B previsto dal Regolamento del Consiglio n. 404/93/CE. Con l’entrata in vigore (dal 1° luglio del 2001) del Regolamento n. 896/2001/CE ed in ragione delle novità introdotte in ordine ai requisiti soggettivi di ammissione ai distinti contingenti, le predette società si sono viste negare, in virtù degli atti ministeriali in primo grado impugnati, il rilascio dei certificati all’importazione di banane; a base di tali atti di diniego l’Amministrazione ha posto, in particolare, il difetto in capo alle appellanti del requisito soggettivo dell’aver svolto attività di importazione quali operatrici negli anni di riferimento 1994,1995 e 1996 e ciò al fine di essere ammesse, a valere dal secondo semestre 2001, quali operatrici tradizionali nel contingente tariffario A/B. Inoltre è stato negato alle stesse società appellanti l’accesso al contingente degli operatori non tradizionali, per la ragione che dette società sarebbero risultate collegate ( ai sensi dell’art. 143 del Reg. Ce n. 2454/93) ad altra società ammessa al contingente tradizionale ( Di Lenardo spa), ciò costituendo specifico motivo ostativo in base all’art. 6, primo comma, lett. c) dello stesso Regolamento CE n. 896/2001.

2. Con i ricorsi di primo grado le odierne appellanti hanno censurato la legittimità dei gravati atti di diniego assumendone la illegittimità , per essere il Regolamento n. 896/2001, cui gli atti impugnati avrebbero dato pedissequa attuazione, in contrasto con alcuni principi fondamentali del Trattato CE quali, in particolare, quello della libera intrapresa economica, il principio di legittimo affidamento e della certezza del diritto. Con le impugnate sentenze n. 1120 e 1121 del 2005 il Tribunale amministrativo del Veneto, dopo aver investito la Corte di Lussemburgo della questione pregiudiziale interpretativa in ordine alla legittimità comunitaria, sotto i profili divisati, del richiamato Regolamento, ha respinto i ricorsi principali proposti dalle odierne società appellanti, uniformandosi alla decisione assunta dai giudici comunitari; per completezza, va soggiunto, per quanto si tratti di capi di decisione non impugnati in questo grado, che con le stesse sentenze sono stati dichiarati inammissibili per difetto di interesse i motivi aggiunti avverso la mancata comunicazione alla Commissione europea, ai sensi degli artt. 4 e 5 del Regolamento Ce n. 896/2001, del quantitativo di riferimento relativo alle società appellanti e sono invece stati accolti i motivi aggiunti avverso l’incameramento della cauzione ad opera della Amministrazione intimata.

3. Con gli appelli in esame tali sentenze, nel capo reiettivo, sono state impugnate dalle società interessate, le quali hanno insistito in questo grado sulla illegittimità costituzionale, sotto svariati profili, della legge nazionale di ratifica del Trattato di Roma del 1957 nonché delle successive leggi di ratifica e di modificazione del predetto Trattato istitutivo della comunità economica europea; inoltre le appellanti hanno dedotto la violazione, da parte della Unione europea e quindi anche dell’Italia, degli accordi internazionali raggiunti in sede di organizzazione mondiale del commercio, stante – a loro dire - il palese contrasto del regime comunitario dei contingenti tariffari ( modificato in senso conforme soltanto a decorrere dal 2006) con le regole fondamentali in materia di commercio mondiale; hanno altresì dedotto la violazione della CEDU in tema di giusto processo e di libera iniziativa economica e, invocandone la diretta applicazione nel presente giudizio, hanno chiesto che, in riforma delle gravate sentenze ed in accoglimento dei ricorsi di primo grado, fosse disposto l’annullamento degli impugnati atti di diniego, previa disapplicazione del regolamento comunitario in contrasto con i citati principi convenzionali.

4.Si è costituita in entrambi i giudizi la Amministrazione intimata per resistere ai ricorsi e per chiederne la reiezione.

All’udienza di discussione del 29 marzo 2011 il ricorso n. 4406/06 è stato rinviato per consentire il contraddittorio delle parti sulla questione processuale, solleva d’ufficio, inerente la stessa ammissibilità delle censure d’appello.

All’udienza del 21 giugno 2011 entrambe le cause sono state trattenute per la decisione.

5 Va disposta anzitutto la riunione dei ricorsi in esame che, per quanto proposti avverso distinte sentenze, sono connessi sul piano oggettivo implicando la soluzione delle medesime questioni, di tal che evidenti ragioni di opportunità ed economia processuale ne suggeriscono la trattazione unitaria, in vista della loro definizione con un'unica sentenza..

6. Ancora in via preliminare il Collegio osserva che l’evidente infondatezza nel merito degli appelli consente di ritenere superata, in omaggio al principio della pienezza della tutela giurisdizionale, la questione della loro ammissibilità processuale, sulla quale era stato pure espressamente provocato ( nell’ambito del ricorso n. 4406/06) il contraddittorio processuale.

7. Con il primo motivo le appellanti lamentano la mancata proposizione, ad opera del giudice di primo grado, della questione di costituzionalità sulle leggi recanti la ratifica ed esecuzione dei trattati internazionali stipulati dal nostro Paese in ambito europeo ( in particolare, della legge 14 ottobre 1957 n. 1203 di ratifica del Trattato istitutivo della Comunità europea del 1957; della legge 23 dicembre 1986 di ratifica dell’Atto unico europeo; della legge 3 novembre 1992 n. 454 sul Trattato dell’Unione Europea; della legge 16 giugno 1998 n. 209 di ratifica del trattato di Amsterdam, della legge 11 maggio 2002 n. 102 di ratifica del trattato di Nizza) e sui quali in definitiva si è svenuta sviluppando la costruzione giuridica dell’Unione europea e si è via via consolidato il processo di integrazione giuridica tra ordinamenti nazionali e ordinamento comunitario ( oggi dell’Unione europea).

I profili di illegittimità costituzionale, in ordine ai quali si lamenta la mancata rimessione, in primo grado, degli atti alla Corte costituzionale, sono sviluppati dalle appellanti in relazione ai parametri di costituzionalità compendiati negli artt. 117, 11,10, 24, 35, 111, 2 e 3 della Costituzione. La questione di costituzionali è posta nel senso che sarebbero illegittime le suindicate leggi di ratifica nella parte in cui le stesse non contemplano un meccanismo di disapplicazione della normativa comunitaria quante volte la stessa contenga disposizioni incompatibili con principi fondamentali del nostro ordinamento ovvero con norme vincolanti di carattere consuetudinario o pattizio discendenti da obblighi internazionali contratti dal nostro Paese e distinti rispetto a quelli conclusi in sede di Unione europea.

7.1 Nello specifico la questione viene prospettata in relazione al contenuto specifico del Regolamento Ce n. 896/2001 ( nelle parti, dianzi richiamate, la cui applicazione è stata di ostacolo all’ammissione delle appellanti ai contingenti tariffari rivendicati) in rapporto ai principi fondamentali del nostro ordinamento, che si assumerebbero violati proprio in ragione della applicazione delle disposizioni regolamenti suddette alle fattispecie in oggetto. In particolare si assume che il predetto Regolamento comunitario avrebbe illegittimamente inciso con efficacia retroattiva sulla libera iniziativa economica di esse appellanti, regolarmente ammesse al contingente tariffario A/B fino al primo semestre 2001 (e quindi prima della sua entrata in vigore), stabilendo ex post requisiti di ammissione al predetto contingente che le appellanti non avevano né avrebbero più potuto conseguire; inoltre, richiamando e facendo applicazione della presunzione iuris ed de iure di cui all’art. 143 del Regolamento Ce n. 2454/93 in ordine ai rapporti parentali attestanti elementi di legame familiare tra soci di società già ammesse al meccanismo dei contingenti tariffari, le predette disposizioni regolamentari avrebbero inibito l’accesso delle appellanti anche ai contingenti riservati agli operatori non tradizionali, in tal modo ulteriormente conculcando le proprie prerogative imprenditoriali mercè l’introduzione di un meccanismo presuntivo contrario ai principi del giusto processo e del diritto di difesa in giudizio tutelato agli artt. 111 e 24 della nostra Costituzione.

Nella prospettazione delle appellanti il giudizio di costituzionalità in via incidentale risulterebbe la strada residuale ancora esperibile per ottenere la soddisfazione delle proprie pretese sostanziali ( ammissione al sistema del contingentamento ovvero eliminazione tout court di detto sistema ) e tanto soprattutto a seguito della ritenuta conformità del prefato regolamento ai principi dei Trattati sancita dalla Corte di giustizia con la sentenza 15 luglio 2004 nelle cause riunite C- 37/02 e C- 38/02 ( a seguito del rinvio pregiudiziale operato dai giudici di prima istanza).

7.2 La censura non appare meritevole di favorevole scrutinio.

Anche a ritenere superabili i profili di ammissibilità di una tale censura (in particolare, sotto il profilo che non risulterebbero esplicitate le ragioni per cui sarebbe erronea la decisione del Tar di ritenere in ogni caso inammissibile una pronuncia additiva della Corte costituzionale su una pluralità di leggi che spetterebbe se del caso al Parlamento modificare nel senso auspicato) il motivo di doglianza è infondato nel merito, sotto il profilo che la decisione dei giudici di primo grado di non rimettere alla Corte costituzionale le predette questioni di costituzionalità delle leggi di ratifica dei suindicati trattati internazionali appare in ogni caso da confermare, attesa la manifesta infondatezza delle questioni prospettate.

Anzitutto va ricordato che la questione di legittimità “ comunitaria” del Regolamento n. 896/01, nelle parti qui rilevanti ( e quindi con riguardo agli articoli 3,4 e 6), è stata già scrutinata, con la citata sentenza del 15 luglio 2004, dalla Corte di giustizia investita delle questioni interpretative controverse dai giudici di primo grado a mezzo di rinvio pregiudiziale. In estrema sintesi la Corte di Lussemburgo, per quanto di interesse in questa sede, ha osservato che: a) non vi è spazio per ritenere violati i principi del legittimo affidamento e della irretroattività della disciplina normativa introdotta con le modifiche recate dal già citato Regolamento per la ragione che le nuove disposizioni relative alla nozione di operatore tradizionale ( come di quel soggetto che, ai sensi degli artt. 2 e 3 del Reg. cit, risulta importatore “primario” di banane negli anni di riferimento 1994, 1995 e 1996) hanno trovato applicazione soltanto dopo l’entrata in vigore dell’atto comunitario controverso; b) tutte le attività economiche regolamentate d’altronde sono assoggettate, nel corso del tempo, a mutamenti normativi, sicchè sostanzialmente nessun operatore può fare affidamento sull’intangibilità di un determinato assetto normativo, potendosi al più porsi un problema di legittimità, sul piano della ragionevolezza e della proporzionalità, della nuova disciplina normativa; c) il libero esercizio di un’attività professionale fa parte, come d’altronde il diritto di proprietà, dei principi generali del diritto comunitario, ma limitazioni a tali diritti sono ben possibili, se tali limitazioni perseguono finalità di interesse generale. Nello specifico, l’art. 6 lett.c) del Regolamento n. 896/2001 restringe sicuramente il libero esercizio di un’attività professionale in quanto tutti coloro che non soddisfino la definizione di operatore non tradizionale perché legati ad un operatore tradizionale ai sensi dell’art. 143 del regolamento n. 2454/93 non avrebbero il diritto di partecipare ai contingenti tariffari in qualità di operatori non tradizionali; tuttavia una restrizione di questo tipo risponde ad uno scopo di interesse generale, quello cioè di combattere le pratiche speculative o artificiose in materia di rilascio di titolo di importazione, escludendo in tal modo che un operatore tradizionale, che partecipi già ad un contingente tariffario, vi partecipi nuovamente, in quanto operatore non tradizionale, tramite un altro operatore al quale sia legato da rapporti di stretta familiarità ( che fanno presumere un fenomeno di interposizione fittizia di persone).

La compatibilità “ comunitaria” del più volte ricordato regolamento è stata quindi affermata con considerazioni condivisibili e trancianti dalla Corte di giustizia. Le stesse sono state riassuntivamente riprodotte in quanto dalla loro sintetica declinazione possono già trarsi utili elementi per ritenere, mutatis mutandis, manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate in questa sede.

7.3 E’ ben vero, anzitutto, che ove si profilasse il contrasto tra una disposizione di diritto comunitario derivato, pur giudicata – come nel caso in esame - compatibile con il Trattato, con la nostra Costituzione, si renderebbe indispensabile investire della questione il giudice delle leggi, venendo in rilievo una questione di costituzionali ostativi all’applicazione del principio di primazia del diritto comunitario. E’ noto infatti che la Corte costituzionale, fin dalla storica sentenza Granital n. 170 del 1984 ( ma vedi anche sentenze nn. 1146 del 1988, 203 del 1989, 232 del 1989, 168 del 1991, 117 del 1995, 126 del 1996, 93 del 1997, 73 del 2001 e, più di recente, n. 227 e n. 288 del 2010) ha rivendicato a sé il compito di verificare la compatibilità del diritto comunitario, anche nei giudizi proposti in via incidentale, con i principi fondamentali dell’ordinamento italiano nonché con i principi inalienabili della persona umana. Si tratta di pronunce che si ricollegano a quella che la dottrina costituzionale ha definito appunto teoria dei per indicare quella frontiera invalicabile oltre la quale non potrebbe spingersi quel processo ( pur presidiato dall’art. 11 della Cost.) di integrazione graduale del nostro ordinamento nell’ordinamento comunitario ( oggi dell’Unione europea), fondato come noto sul principio di primazia di quest’ultimo e sul corollario della disapplicazione automatica ( ad opera del giudice o della pubblica amministrazione) della normativa interna confliggente con la normativa comunitaria. Si tratta evidentemente di ipotesi estreme, tanto rare che ad oggi non si è mai dato il caso di interventi riparatori della nostra Corte costituzionale, nonostante le richiamate e ripetute affermazioni di principio in ordine alla sussistenza in astratto di un tale potere di intervento a carattere interdittivo, posto a presidio dei valori fondamentali del nostro ordinamento ( per tutte, sentenza n. 284 del 2007 e ordinanza n. 454 del 2006 ivi citata, ove si precisa, che «nel sistema dei rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario, quale risulta dalla giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi, in forza dell'art. 11 della Costituzione, soprattutto a partire dalla sentenza n. 170 del 1984, le norme comunitarie provviste di efficacia diretta precludono al giudice comune l'applicazione di contrastanti disposizioni del diritto interno, quando egli non abbia dubbi - [...] - in ordine all'esistenza del conflitto. La non applicazione deve essere evitata solo quando venga in rilievo il limite, sindacabile unicamente da questa Corte, del rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona»). Per completezza va soggiunto che la teoria dei controlimiti, in quanto legata ad un’idea di gerarchizzazione delle fonti afferenti la tutela dei diritti fondamentali, è oggi in fase recessiva dato che l’approccio giurisprudenziale e dottrinario più moderno predilige, sui temi relativi ai diritti fondamentali, una ricostruzione sistematica in termini di concorrenza virtuosa tra fonti, nel senso che diviene di volta in volta prevalente quella che assicura una tutela più piena di tali diritti, con continuo travaso delle forme più accentuate di tutela dagli ordinamenti nazionali a quello dell’Unione europea e da questa ai primi, in direzione quindi sia ascendente che discendente

7.4 Ciò precisato sul piano generale, la questione di costituzionalità dovrebbe a questo punto essere sollevata soltanto ove, all’interno della disciplina regolamentare richiamata si dovessero ravvisare ( nonostante il giudizio di compatibilità comunitaria già espresso dai giudici di Lussemburgo) gli estremi per individuare una possibile violazione dei principi fondamentali sui quali poggia il nostro ordinamento democratico ovvero dei diritti inalienabili della persona umana. Sgombrato subito il campo da tale ultima evenienza, non venendo in gioco nel caso in esame diritti inalienabili della persona ma soltanto limiti normativi all’esercizio di un’attività economica, il Collegio è persuaso che nessuna violazione ai principi basilari del nostro ordinamento possa venire dalla applicazione delle disposizioni regolamentari che hanno di fatto impedito alle odierne appellanti l’accesso ai contingenti tariffari per l’importazione delle banane a dazio ridotto nel mercato comunitario.

Il nucleo dei diritti fondamentali si suole individuare in quei beni giuridici supremi tutelati dalla nostra Costituzione agli artt. 2 e 3. L’art. 2, a mezzo del riferimento ai diritti inviolabili dell’uomo, richiama essenzialmente i diritti inalienabili della persona umana, dal cui novero deve ritenersi esclusa la proiezione dinamica dell’uomo-imprenditore, trovando in altra parte della Costituzione specifica disciplina e tutela la libera iniziativa economica privata. In ogni caso, non pare possa delinearsi neppure in via astratta una interferenza oggettuale tra limitazioni all’esercizio delle attività economiche ad opera della disciplina comunitaria in esame e nucleo dei diritti inviolabili della persona. Valgano qui le considerazioni già sviluppate dalla Corte di giustizia, e pienamente condivise da questo Collegio, in ordine alla insussistenza di una situazione tutelabile in termini di legittimo affidamento riguardo alla intangibilità di una determinato assetto normativo il quale, come la Corte non ha mancato di sottolineare, ha chiara portata precettiva soltanto per il futuro essendo esclusa ogni efficacia retroattiva delle nuove disposizioni. Né è prospettabile una violazione dell’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo di una possibile disparità di trattamento tra situazioni giuridiche omogenee, se si considera che il legame familiare, non irragionevolmente sintomatico di un collegamento tra soggetti da non ammettere indistintamente al beneficio del contingente tariffario, riveste carattere oggettivo e non certo discriminatorio, non potendo essere assimilate fattispecie diverse relative a società che, in quanto non collegate tra loro attraverso un intreccio parentale tra soci, non presentano sotto tal profilo motivi ostativi alla ammissione ai contingenti tariffari.

Altro parametro di costituzionalità asseritamente violato sarebbe quello compendiato negli artt. 10 e 117 della Cost., sotto il profilo che l’Italia avrebbe violato, proprio in applicazione del regime comunitario dei contingentamenti comunitari all’ importazione delle banane, l’obbligo internazionale specifico contratto in sede di organizzazione mondiale del commercio nonchè quello più generale ( contenuto nell’ art. 10 della Cost.) secondo cui pacta sunt servanda. Osserva al proposito il Collegio che la prospettazione di tali questioni suppone anzitutto che sia acclarata la responsabilità dell’Unione europea per violazione del trattato stipulato in sede di WTO ( World trade organization); ciò che è stato espressamente escluso dalla Corte di giustizia ( sentenza 1° marzo 2005 in causa C-377/02) nella decisione richiamata dalle stesse società appellanti, nonostante le difformi statuizioni degli organi giustiziali interni all’organizzazione mondiale del commercio ( il riferimento è alle decisioni del “Dispute” del 25 settembre 1997 e del 6 maggio 1999 che hanno ritenuto incompatibile con le regole WTO il regime del contingentamento all’importazione delle banane). In ogni caso si tratterebbe comunque di questioni irrilevanti nell’esame delle richiamate questioni di costituzionalità, riguardando piuttosto le stesse la responsabilità internazionale dello Stato. Il Collegio non ha motivo di discostarsi, anche sul punto, da quanto osservato dalla Corte di giustizia nella appena citata sentenza ove si è ribadito che “un operatore economico non può invocare dinanzi ad un giudice di uno Stato membro l’incompatibilità di una normativa comunitaria con talune regole dell’organizzazione mondiale del Commercio, quando tale incompatibilità è stata dichiarata dall’organo di conciliazione previsto dall’art. 2, n. 1 dell’intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano la risoluzione delle controversie”. In tale decisone la Corte sostanzialmente ribadisce un principio pacifico, e cioè che le regole discendenti dagli accordi stipulati in sede di WTO hanno natura di regole internazionali e, in quanto tali, impegnano la responsabilità degli Stati aderenti in ipotesi di loro violazione e non sono invece autonomamente invocabili dai cittadini dinanzi alle giurisdizioni nazionali. Di tal che, nel caso di specie, anche ad ammettere la violazione, da parte dell’Unione europea ( e conseguentemente dell’Italia), degli accordi WTO, da ciò non potrebbe inferirsi la sussistenza di un obbligo disapplicativo da parte del giudice nazionale della normativa comunitaria ritenuta incompatibile con il rispetto di quegli accordi. Nè la questione può assumere rilevanza nell’ambito del giudizio di costituzionalità, per quanto già detto circa la non interferenza della normativa comunitaria applicabile alla fattispecie con la materia della tutela dei diritti fondamentali solo questa potendo, in tesi, giustificare l’intervento correttivo della Corte costituzionale. La prospettata antinomia tra norme comunitarie e norme internazionali di origine diversa non può mai tradursi in una questione di legittimità costituzionale di diritto interno posto che un eventuale violazione degli accordi internazionali coinvolge la responsabilità internazionale dello Stato membro e/o dell’Unione europea, e può essere superata soltanto per effetto di una scelta discrezionale del legislatore volta a rendere conforme il quadro normativo interno a quello imposto dalla osservanza agli accordi internazionali ( in termini non dissimili da quelli utilizzati dal Tar non può essere la Corte costituzionale a risolvere un problema di violazione di norme internazionali e di conseguente responsabilità internazionale di uno Stato aderente).

Né appaiono violati nella fattispecie gli altri parametri costituzionali invocati dalle società appellanti. Premesso che nessuno di tali parametri coinvolge quei diritti fondamentali che legittimerebbero, in estrema ipotesi, l’intervento del giudice costituzionale al fine di interdire l’applicazione nel nostro ordinamento della ( altrimenti) prevalente normativa comunitaria, è a dirsi che è manifestamente infondata la questione sollevata in relazione agli artt. 11, 35, 41, 24 e 111 della Costituzione. Quanto alla tutela del diritto di difesa e del giusto processo le appellanti non possono certo affermare di non aver avuto modo di prospettare le loro ragioni a difesa della loro pur legittima aspettativa di fatto (ma in diritto infondata) a continuare ad esercitare l’attività di importazione negli anni di riferimento ( 2001-2007). Né la dedotta questione della presunzione assoluta in ordine ai rapporti parentali ostativi ( entrambe le società, si ricorderà, sono risultate legate, in ragione di incontestati rapporti familiari tra soci, alla società Di Lenardo spa, ammessa al contingente tariffario) si traduce in una violazione del diritto di difesa o del giusto processo: tenuto conto infatti della finalità di prevenzione generale della disposizione, volta ad evitare il proliferare di certificati di importazione facenti capo ad unitari centri di interesse familiare, e che le appellanti non hanno contestato in fatto la ricorrenza dei legali familiari con la Di Lenardo spa, la stessa si rivela disposizione autoapplicativa, una volta che ricorrano le particolari situazioni familiari costituenti specifici motivi ostativi al rilascio della certificazione. D’altra parte non è inutile ricordare che le condizioni familiari sintomatiche dei legami tra soggetti ( in quanto appartenenti alla stessa famiglia) sono state introdotte nella materia di che trattasi attraverso il rinvio al Regolamento n. 2454/93, contenente la disciplina attuativa del codice doganale comunitario; ora non risulta che l’applicazione della specifica disposizione richiamata ( art. 143 Reg. cit.) nel settore fiscale di pertinenza abbia mai prodotto problematiche applicative ( sul piano dell’ipotizzato carattere discriminatorio della disposizione) del tipo di quelle prospettate dalle odierne appellanti nel presente giudizio.

Infine, non sono fondate le questioni di costituzionalità proposte in relazione alla prospettata violazione degli artt. 35 e 41, essendo evidente che il diritto al lavoro, come la libera iniziativa economica privata, non costituiscono beni giuridici tutelati in Costituzione incondizionatamente, di guisa che non sono di per sé incostituzionali le norme che ne limitano ragionevolmente il loro esercizio (si è già detto della finalità di ordine generale sottesa alla previsione regolamentare delle esclusione dal contingente tariffario per le società che evidenziano collegamenti familiari).

Da ultimo, il riferimento all’art. 11 della Costituzione non integra, per altro verso, un parametro di costituzionalità di cui potrebbe predicarsi la violazione nel caso di specie, tenuto conto di quanto osservato in ordine al temperamento, rispetto al principio di primazia del diritto comunitario, introdotto dalla richiamata giurisprudenza della Corte costituzionale e di cui tuttavia nella specie, per le ragioni dianzi indicate, non sussistono margini applicativi.

8.Con altro ordine di censure le appellanti assumono che l’obbligo di disapplicazione del Regolamento 896/2001/CE deriverebbe dalla violazione che altrimenti l’Italia consumerebbe dell’art. 1, 6 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dell’art. 1 del suo Protocollo aggiuntivo n.1.

Vanno anzitutto evidenziati i profili di inammissibilità processuale di una tale censura, sotto il duplice profilo: a) della mancata deduzione in primo grado di analogo motivo afferente la dedotta violazione convenzionale, dedotto per la prima volta in appello; 2) della stessa possibilità, da parte di un giudice nazionale, di dare diretta applicazione alle disposizioni della Convenzione citata, cui l’Unione europea non ha ancora aderito in via formale ( risultando irrilevante sul punto, in quanto sfornito di forza precettiva, quanto previsto dall’art.6 del TUE a seguito delle modifiche introdotte dal trattato di Lisbona: in tal senso, di recente, cfr. Corte Cost n.80 del 2011 ). In ogni caso, la questione proposta si appalesa destituita nel merito di giuridico fondamento posto che - per le ragioni già dette in occasione della rilevata infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale- nessuna violazione alle regole del giusto processo può essersi in concreto verificata, né la disciplina regolamentare comunitaria si rivela violativa del principio convenzionale afferente il diritto al rispetto dei propri beni o addirittura del principio di non discriminazione tra individui per fatto di religione, di razza, di condizione sociale eccetera.

In definitiva, gli appelli, previa riunione, devono essere respinti.

Le spese di lite del grado seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li respinge previa riunione.

Condanna le appellanti a rivalere l’appellata amministrazione delle spese e competenze del presente grado di giudizio e liquida dette spese, in relazione ad entrambi gli appelli riuniti, in complessivi euro 20.000,00 ( ventimila/00), oltre IVA e CAP come per legge, e pone tale somma, senza vincolo di solidarietà, a carico delle parti appellanti, nella misura di euro 10.000,00 ( diecimila/00) ciascuna.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2011 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Giancarlo Coraggio, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore

Bernhard Lageder, Consigliere

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/08/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) 

 

Autore/Fonte: www.giustizia-amministrativa.it AVVOCATO NARDELLI (STUDIO LEGALE NARDELLI)  
 

 

 

 

 

 

 

 


Autore / Fonte: WWW.GIUSTIZIA-AMMINISTRATIVA.IT

Avvocato Sante NARDELLI
Diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto civile, diritto processuale amministrativo e civile, diritto societario, diritto delle successioni, diritto di famiglia, diritto stragiudiziale. Patrocinante dinanzi alla Corte di Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, altre Magistrature Superiori.

Avvocato Giovanni Vittorio NARDELLI
Diritto amministrativo, diritto processuale amministrativo, diritto degli appalti, diritto dell'energia, diritto dell'edilizia e dell'urbanistica, diritto dell'ambiente e smaltimento dei rifiuti, diritto del commercio, diritto civile, diritto processuale civile. Diritto Tributario. Patrocinante dinanzi alla Corte di Cassazione, Consiglio di Stato, altre Magistrature Superiori, Tribunale Amministrativo Regionale, Corte di Appello e Tribunale Ordinario Civile. Continua

Avvocato Maria Giulia NARDELLI
Diritto civile, diritto processuale civile, diritti delle persone e delle successioni, diritto di famiglia. Fondazioni, associazioni, enti senza fine di lucro, contratti civili, tipici ed atipici. Diritto ecclesiastico. Diritto canonico. Patrocinante dinanzi alla Corte di Appello e Tribunale Ordinario Civile.

Avvocato Dora NARDELLI
Diritto civile, diritto processuale civile, diritti delle persone e delle successioni, diritto di famiglia. Fondazioni, associazioni, enti senza fine di lucro, contratti civili, tipici ed atipici. Diritto ecclesiastico. Diritto canonico. Patrocinante dinanzi alla Corte di Appello e Tribunale Ordinario Civile.

Avvocato Antonio DENORA
Diritto civile, diritto processuale civile, diritto societario, diritto fallimentare e procedure concorsuali. Diritto del lavoro. Concorrenza. Diritto delle successioni, diritto di famiglia. Diritti delle persone e risarcimento del danno. Patrocinante dinanzi alla Corte di Appello e Tribunale Ordinario Civile. Continua

Avvocato Roberto SAVINO
Diritto civile, diritto processuale civile, diritto bancario, diritto societario, diritto fallimentare e procedure concorsuali. Diritto del lavoro. Concorrenza. Patrocinante dinanzi alla Corte di Appello e Tribunale Ordinario Civile.

Avvocato Marco Maria TRAETTA
Diritto civile, diritto processuale civile. Diritti delle persone e risarcimento del danno. Patrocinante dinanzi alla Corte di Appello e Tribunale Ordinario Civile.