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04 MAGGIO 2012 - CONSIGLIO DI STATO SEZIONE QUARTA - NR.2578 DEL 04 MAGGIO 2012

PROCESSO AMMINISTRATIVO - IMPUGNAZIONE DI PERMESSO DI COSTRUIRE PER LA COSTRUZIONE DI CENTRO POLIFUNZIONALE E CONNESSA AUTORIZZAZIONE COMMERCIALE - LEGITTIMAZIONE AD IMPUGNARE - VA RICONOSCIUTA AI SOGGETTI CHE OPERANO NELLO STESSO BACINO DI UTENZA 

 

 

 

 

 

N. 02578/2012REG.PROV.COLL.

N. 00110/2008 REG.RIC.

N. 06285/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 110 del 2008, proposto da:
Pandiva Srl in p.l.r.p.t., Divella Walter, Bieka di Santoiemma Vincenzo & C. Snc, Santoiemma Vincenzo, Superette di Calderoni Luigi, Giga di Calderoni Luigi e De Natale Gaetano S.n.c., rappresentati e difesi dagli avv. Francesco Paparella, Marco Palieri, con domicilio eletto presso Alfredo Studio Placidi in Roma, via Cosseria N. 2;

contro

Comune di Gioia del Colle in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Fulvio Mastroviti, con domicilio eletto presso Andrea Botti in Roma, via Monte Santo N.25; Tintoretto Srl, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Nitti, con domicilio eletto presso Marco Ravaioli in Roma, via Papiniano N. 29;
Regione Puglia; Comando Prov. Vigili del Fuoco di Bari;

nei confronti di

Distefano Costruzioni Srl in p.l.r.p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Aldo Loiodice, con domicilio eletto presso Aldo Loiodice in Roma, via Ombrone, 12 Pal. B;



 

sul ricorso numero di registro generale 6285 del 2010, proposto da:
Pandiva S.r.l. in p.l.r.p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Franceso Paparella, Marco Palieri, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

contro

Comune di Gioia del Colle in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Eugenio Matarrese, con domicilio eletto presso Giampaolo Maria Cogo in Roma, via Antonio Bertoloni N. 1/E;
Regione Puglia in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Anna Bucci, con domicilio eletto presso Uffici Delegazione Romana Regione Puglia in Roma, via Barberini N. 36; Coop Estense (Incorporante Apulia Supermercati Srl) in p.l.r.p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Nitti, con domicilio eletto presso Marco Ravaioli in Roma, via Papiniano N. 29;

per la riforma

quanto al ricorso n. 110 del 2008:

della sentenza del T.a.r. Puglia – Bari - Sezione III n. 02393/2007, resa tra le parti, concernente “permesso di costruire e autorizzazione commerciale – risarcimento danni”

quanto al ricorso n. 6285 del 2010:

della sentenza del T.a.r. Puglia – Bari - Sezione II n. 01133/2010, resa tra le parti, concernente “autorizzazione commerciale per l’apertura di un centro commerciale”.

 


 

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Gioia del Colle, della Regione Puglia e della Coop Estense (Incorporante Apulia Supermercati Srl);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 marzo 2012 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Francesco Paparella, Fulvio Mastroviti, Massimo Ingravalle in sostituzione di Paolo Nitti, Felice Laudadio in sostituzione di Aldo Loiodice, Francesco Paparella, Anna Bucci, Massimo Ingravalle Biseglie in sostituzione di Paolo Nitti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


 

FATTO

Il comune di Gioia del Colle rilasciava nel 2002, alla Tintoretto s.r.l., una concessione edilizia per la costruzione di un complesso polifunzionale integrato (supermercato, pista di pattinaggio, centro danza, bar, centro benessere etc.), ricadente, parte in zona F1 (servizi per l’urbanizzazione secondaria) e parte in zona F2 ( verde attrezzato). Seguiva la richiesta di un permesso di costruire in variante, con incremento delle superfici edificate, rilasciato in data 11/10/2004. L’ autorizzazione commerciale era infine rilasciata dal Comune, in favore della Tintoretto, in data 24/11/2004.

Il nuovo permesso di costruire, la primigenia concessione, nonché l’autorizzazione commerciale erano impugnate da un gruppo di società commerciali - Pandiva Srl, Divella Walter, Bieka di Santoiemma Vincenzo & C. Snc, Santoiemma Vincenzo, Superette di Calderoni Luigi, Giga di Calderoni Luigi e De Natale Gaetano S.n.c, odierne appellanti - dinanzi al TAR Puglia, ivi deducendosi, tra l’altro: violazione delle prescrizioni di piano (la zona F1 non avrebbe potuto ospitare centri commerciali, quale sarebbe quello autorizzato, nè la zona F2 avrebbe potuto essere interamente destinata a parcheggi); violazione dei limiti di edificabilità massima (parte delle aree di sedime sarebbero state oggetto di un preliminare di compravendita poi risolto); violazione della normativa sul commercio (si tratterebbe di un centro commerciale, ossia di una grande struttura di vendita, non autorizzabile dal Comune. I vari locali sarebbero infatti integrati in un complesso in guisa da costituire un unico centro di carattere commerciale).

Il TAR Bari dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di legittimazione ad agire dei ricorrenti, non essendo - ad avviso di quel giudice - stata fornita dal prova della vicinitas e dello svolgimento di attività commerciale analoga. La sentenza era tuttavia pubblicata priva della firma del Presidente.

I ricorrenti appellavano. Nel frattempo il TAR rimetteva sul ruolo la causa decidendo nuovamente, senza tener conto dell’attività difensiva ulteriore svolta dai ricorrenti in ordine alla prova della legittimazione ad agire, e dichiarava nuovamente inammissibile l’impugnativa. I ricorrenti proponevano nuovamente appello, spiegando altresì motivi aggiunti.

Il Consiglio di Stato dichiarava nulla la prima sentenza ed inesistente la seconda, rinviando al TAR Bari per il prosieguo.

Il TAR Bari, anche questa volta non considerando le nuove difese - sull’assunto che il procedimento dovesse riprendere dal momento del verificarsi della nullità – dichiarava inammissibile il ricorso per i medesimi motivi. Aggiungeva, in ogni caso, che il ricorso era da considerare tardivo poiché il primo atto lesivo era da individuarsi nella concessione edilizia del 2002 (cui era eseguita attività edificatoria sino alle strutture portanti), essendo il successivo permesso di costruire in variante, un atto conseguente privo di autonomia.

I ricorrenti proponevano appello (RG. 110/2008) e, oltre a riproporre nel merito le censure già viste e le altre che saranno appresso meglio specificate, evidenziavano la propria legittimazione ad agire sostenendo che, comunque, già dalle visure depositate con il ricorso poteva evincersi sia la vicinitas che la categoria merceologica delle attività commerciali svolte. Quanto alla tardività sostenevano che il permesso di costruire in variante aveva portato profonde modifiche sostanziali e che l’originaria concessione edilizia era ormai priva di autonoma realizzabilità, sicchè l’interesse si allaccerebbe al nuovo provvedimento, tempestivamente impugnato.

Pendente il giudizio di appello, il Comune di Gioia del Colle, all’esito della conferenza di servizi prevista dalla legge regionale n. 11 del 2002 e dal reg. reg. 1/2004, autorizzava l’apertura di un “centro commerciale di interesse locale” con provvedimento n.16 del 10 luglio 2009, così trasformando l’originaria autorizzazione del 2004, avente ad oggetto una media struttura di vendita (M3 alimentare e non) della superficie di mq 2.499, in due medie strutture M2, di cui una alimentare e non, di mq 1.500, e l’altra esclusivamente non alimentare di mq 999, oltre ad ulteriori esercizi di vicinato per complessivi ulteriori mq 900.

Anche questa autorizzazione era impugnata da una delle società già citate - la Pandiva s.r.l. -dinanzi al TAR Bari, sulla base di censure aventi ad oggetto i vizi propri, ed in particolare, l’omessa attivazione della procedura di V.I.A., l’insufficienza di parcheggi pertinenziali, nonchè vizi derivati dalla già stigmatizzata incompatibilità urbanistica dell’immobile sede delle attività commerciali. Il gravame era respinto in rito, per difetto di legittimazione ad agire, oltre che per la preclusione derivante dal precedente giudizio già conclusosi con sentenza ed avente ad oggetto proprio quei vizi derivati.

Interponeva gravame (RG 6285 del 2010) Pandiva s.r.l., evidenziando, ancora una volta, i presupposti della propria legittimazione e del proprio interesse a ricorrere. Quanto alla preclusione derivante dal precedente giudicato, osservava, al più trattarsi di litis pendenza (essendo la prima sentenza ancora sub iudice) ed in ogni caso contestava qualsivoglia interferenza in ragione della conclusione in rito del primo giudizio. Nel merito riproponeva le censure già spiegate in primo grado, sopra sinteticamente enucleate.

Nei giudizi così incardinatisi, si sono costituiti il Comune di Gioia del Colle, la Tintoretto srl e la De Stefano costruzioni s.r.l. (RG n. 110 del 2008), nonché la Cooperativa Estense (incorporante la Apulia Supermercati s.r.l.) e la Regione Puglia (RG 6285 del 2010), invocando la reiezione del gravami in quanto inammissibili e comunque infondati.

Entrambe i giudizi sono stati trattenuti in decisione alla pubblica udienza del 27 marzo 2012.

DIRITTO

1. Atteso l’evidente legame di presupposizione sussistente tra gli atti impugnati, i due giudizi possono essere riuniti per essere unitamente decisi.

2. Questione preliminare sulla quale insistono gli appellanti è ovviamente quella relativa alla propria legittimazione ad agire, negata dal primo giudice. Essa è comune ad entrambi i giudizi e si presta quindi ad essere oggetto di unica trattazione.

2.1. Il TAR Puglia ha sostenuto in proposito che “i ricorrenti, in quanto residenti nel comune di Gioia del Colle, non hanno dimostrato di trovarsi in una posizione qualificata e differenziata, ovvero in posizione di stabile collegamento con la zona stessa e quindi di avere un interesse, concreto ed attuale, a ricorrere in relazione al tipo di violazione che si eccepisce, sì da ritrarre una certa utilità patrimoniale o non, dall’annullamento della concessione edilizia…(…); per quanto riguarda la loro posizione di operatori commerciali, i medesimi hanno in maniera del tutto generica rappresentato il proprio campo di attività, attraverso le visure camerali – Ufficio del Registro delle imprese” (sent. 2393/2007). Ha più di recente sostenuto, in relazione all’impugnazione della sola autorizzazione commerciale n. 16/2009, pur accedendo ad un’ampia nozione di vicinitas, che i ricorrenti non abbiano dato prova di legittimazione al ricorso “non avendo nuovamente indicato, in termini di sviamento di clientela, quali danni siano ricollegabili all’avversata struttura...”, avuto in particolare riguardo alla circostanza che, in via generale, l’ordinamento privilegia la concorrenza nell’interesse dei consumatori, considerando recessivo quello degli operatori economici alla conservazione della propria posizione di mercato, talchè solo la prova di un “eccesso” di concorrenza sarebbe idonea a fondare la legittimazione ad agire. Neanche l’ambito di operatività commerciale dei ricorrenti sarebbe sovrapponibile a quello del controinteressato.

2.2. Secondo gli appellanti, il TAR avrebbe errato nel giudizio poichè: 1) innanzitutto avrebbe circoscritto la propria valutazione ai soli documenti depositati unitamente al ricorso, rifiutando di esaminare le integrazioni documentali postume alla prima ed “ufficiosa” rimessione della causa sul ruolo, nonché alla seconda rimessione conseguente all’annullamento con rinvio da parte del Consiglio di Stato; 2) in ogni caso, pur considerando la sola produzione iniziale, avrebbe errato nel non rilevare che la visura di Pandiva s.r.l. riportava puntualmente l’attività esercitata (supermarket al dettaglio), gli articoli commercializzati (generi alimentari e non) e la sede del negozio (Via Regina Elena, n. 94), e così dicasi per le altre visure; 3) quanto alla seconda ed ultima sentenza, ugualmente il giudice avrebbe errato nel considerare ostativo il principio di libera concorrenza, non potendo questo coprire ipotesi di illegittimità nell’autorizzazione dell’attività; così come avrebbe errato nel non ritenere sufficiente la consulenza di parte circa le possibili interferenze commerciali tra le imprese commerciali.

3. A prescindere dalla correttezza del modus procedendi del primo giudice in ordine all’ammissibilità della documentazione depositata a seguito del rimessione della causa a ruolo prima, e del rinvio disposto dal Consiglio di Stato poi, non può sfuggire che a sostanziare la posizione legittimante dei ricorrenti, anche in relazione alle questioni di rilievo urbanistico ed edilizio, fosse la titolarità di esercizi commerciali esposti agli effetti potenzialmente pregiudizievoli in termini di clientela derivanti da una nuova ed ambiziosa iniziativa commerciale. Il criterio della vicinitas, accolto dalla giurisprudenza per individuare la posizione differenziata e qualificata, ha qui una valenza del tutto relativa e ciò anche qualora l’operatore economico ricorrente faccia valere questioni urbanistiche presupposte rispetto a quelle puramente commerciali.

3.1. Dev’essere in proposito disatteso l’orientamento giurisprudenziale che differenzia i requisiti e le conclusioni in tema di legittimazione dell’operatore economico in concorrenza, a seconda se questi faccia valere censure di natura urbanistica o commerciale (con il corollario che per far valere anche le prime occorrerebbe una stringente vicinitas di carattere topografico), poiché l’interesse legittimo è posizione giuridica riconosciuta a protezione di uno specifico bene della vita, la quale proprio in forza di tale spiccata connotazione soggettiva non tollera limitazioni in ordine ai vizi deducibili, salvo quelle connesse al principio dell’interesse ad agire, ex art. 100 cpc. Dunque, quando la posizione giuridica è differenziata e qualificabile quale interesse legittimo, non v’è spazio per ulteriori indagini circa la natura dei vizi prospettabili, quand’anche essi non siano omogenei rispetto all’interesse tutelato, purchè strumentali alla protezione del bene della vita sotteso a quell’interesse.

3.2. Avuto pertanto riguardo al bene della vita per il quale gli appellanti agiscono (mantenimento della clientela e del connesso avviamento) ed all’oggetto della controversia –id est i provvedimenti che autorizzano l’edificazione e l’autorizzazione ad operare di una struttura commerciale - il concetto di vicinitas, richiamato dall'art. 31 comma 9, della legge 17 agosto 1942 n. 1150 come elemento qualificante l'interesse a ricorrere contro di essi, si identifica unitariamente con quello di «stesso bacino di utenza del ricorrente », rappresentando il collegamento stabile fra il ricorrente qualificato per l'attività esercitata dall'intervento e la zona in cui questo dovrà essere realizzato (così questa Sezione, 07/07/2008, n. 3362).

E’ per tale motivo che il Consiglio di Stato è giunto a sostenere che “l'apertura di un centro commerciale di notevoli dimensioni, in località caratterizzata dalla presenza di importanti collegamenti stradali e con ampia disponibilità di parcheggi, per effetto del grande richiamo notoriamente esercitato sui consumatori dalla possibilità di procedere ad acquisti di ogni genere con un solo spostamento verso un unico centro ed a condizioni di prezzo spesso più vantaggiose, è in grado di esercitare un impatto economico che non può essere ristretto ai commercianti siti nell'area nella quale la nuova struttura commerciale è stata autorizzata a collocarsi, ma inevitabilmente si riverbera sugli esercenti dei Comuni viciniori ai quali va di conseguenza riconosciuta la legittimità ad insorgere avverso il provvedimento che ne ha autorizzato l'apertura…” (Consiglio Stato, sez. V, 20/02/2009, n. 1032)

3.3. Nel caso di specie, dalle visure depositate unitamente al ricorso introduttivo, emergono elementi sufficienti ad individuare lo stesso “bacino di utenza”, potendosi, nel contesto documentale delle stesse, rinvenire la natura dell’attività esercitata ed il genere dei prodotti venduti, oltre che la localizzazione geografica degli esercizi commerciali, alla quale, in considerazione di quanto sopra, non può applicarsi un criterio meramente spaziale sganciato da quello, di carattere più marcatamente economico, innanzi descritto.

3.4. Non condivisibile poi, è l’affermazione del primo giudice in ordine alla recessività dell’interesse al mantenimento della clientela rispetto all’interesse della generalità dei consumatori alla piena ed effettiva concorrenza. Non è in questa sede in discussione il principio di concorrenza e l’interesse pubblico ad esso sotteso, poiché i ricorrenti non si dolgono ex adrupto della lesione dei propri interessi commerciali ed economici ad opera della concorrente iniziativa, ma proteggono il bene della vita (in ispecie, proprio il mantenimento del livello di clientela) dall’azione illegittima dell’amministrazione, secondo la struttura peculiare dell’interesse legittimo – protesa da una parte verso l’utilità sostanziale privata e dall’altra inscindibilmente connessa al corretto esercizio del potere – utilizzando, il pregiudizio potenzialmente derivante al bene, solo quale argomento per fondare e giustificare in giudizio la propria legittimazione ad agire.

Nondimeno vano è il tentativo, da parte del primo giudice, di ricercare la piena sovrapponibilità dei correlativi bacini di utenza pur a fronte di una perizia di parte che ne dimostra la palese, potenziale interferenza, poiché esso porta verso lidi contenziosi lontani dall’oggetto reale dello scrutinio, invece limitato all’esame degli elementi che differenzino il generico operatore economico da quello sul quale riverberano effetti economici pregiudizievoli. In questa chiave è evidente che il fatto che il bacino di utenza del controinteressato sia più ampio di quello raggiungibile dai ricorrenti a mezzo del proprio esercizio di vicinato, non è circostanza che possa assumere rilievo ed efficacia dirimente.

3.5. Entrambi i ricorsi erano quindi, in relazione al profilo appena esaminato, da considerare ammissibili; ciò impone la riforma, sul punto, delle due sentenze gravate.

Può passarsi all’esame delle ulteriori questioni afferenti le singole pronunce.

A - Quanto al ricorso n. 110 del 2008:

4. Il TAR Puglia ha osservato che il ricorso avrebbe comunque dovuto essere dichiarato inammissibile, stante la mancata tempestiva impugnazione dell’originaria concessione edilizia (n. 21/2002) finanche a seguito dell’esposizione di un cartellone di notevoli dimensioni dal quale potevano chiaramente evincersi le funzioni commerciali cui l’opera era destinata. Gli appellati – Comune di Gioia del Colle e Distefano costruzioni s.r.l.- aggiungono che alla data di rilascio del successivo permesso di costruire in variante, persino le strutture portanti erano state erette.

4.1. A prescindere dal dies a quo del termine per l’impugnazione del titolo abilitativo – se cioè esso decorra dall’inizio o dal completamento dei lavori – ciò che in questo caso assume valenza dirimente è l’emanazione di un nuovo titolo in variante rispetto a quanto già assentito, che interviene a dare una nuova configurazione plano-volumetrica all’erigendo immobile, ponendosi quale conditio sine qua non dell’attività edificatoria. Trattasi di un titolo che impropriamente è definito permesso di costruire in variante (tale dovendo intendersi esclusivamente quello di cui all’art. 22 comma 7 del dPR 380/2001, alternativo alla DIA prevista dal comma 2 del medesimo articolo, per opere che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire) ma che invece deve qualificarsi quale vero e proprio nuovo permesso di costruire, in relazione ad una opera nuova e diversa per superficie e volumetria: la superficie in area F1 (produttiva di cubatura) è infatti incrementata del 50%, la superficie coperta del 42% (dati elaborati dagli appellanti, non oggetto di specifica confutazione).

4.2. Inoltre, giova ribadire che ad impugnare sono operatori economici che non si dolgono sic e simpliciter della nuova opera, ma della nuova opera in quanto sede di una grande struttura di vendita potenzialmente lesiva dei propri interessi commerciali, assentita, in ordine ai profili urbanistici, sulla base di un titolo asseritamente illegittimo. In questa chiave, il rischio di ricadute commerciali connesse all’ampliamento delle superfici ed alla nuova configurazione dell’intera opera, nonché la concreta realizzabilità dell’iniziativa commerciale (l’attività edificatoria inizialmente intrapresa sulla base della concessione del 2002 era stata oggetto di denuncia alla locale Procura della Repubblica) sulla base del nuovo titolo, sono elementi che corroborano l’autonoma lesività, nei confronti degli appellanti, del nuovo episodio provvedimentale, invero, giusto quanto sopra chiarito, già sostenibile sulla base del solo contenuto edilizio del permesso di costruire n. 115/2004.

5. Superate le questioni preliminari, possono dunque esaminarsi i motivi di censura, in sede di appello pedissequamente riproposti.

5.1. Con il primo motivo è dedotta “violazione dell’art. 41 quinquies della legge n 1150 del 1942. Violazione degli artt. 2 e ss. del DM n. 1444 del 1968. Violazione degli artt. 10 e ss. del dPR n. 380/2001. Violazione degli artt. 14 e ss. della legge regionale n. 56/80. Violazione degli artt. 18, 22 e 23 delle norme tecniche di attuazione del vigente PRG del Comune di Gioia del Colle. Violazione dell’art. 3 della legge 241/90. Violazione dell’art. 8 del reg. regionale n.1/2004. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria, per sviamento ed ingiustizia manifesta, difetto di motivazione. L’intervento edilizio è costituito da un’ampia struttura articolata su quattro piani destinati ad ospitare una “piastra commerciale composta da un’area vendita con annessi servizi e laboratori……. “un centro benessere..”, un’ulteriore “piastra suddivisa in tre attività commerciali sul lato nord; negozi singoli sul lato sud…” ed ancora altri “piccoli negozi a sud ….ed uffici a nord”, oltre alla realizzazione di un centro danza, una pista di pattinaggio, un centro di riabilitazione sanitario”, collocata in parte in zona F1 ed in parte in Zona F2, rispettivamente disciplinate dagli artt. 22 e 23 delle vigenti n.t.a. Le norme da ultimo citate, contemplanti destinazione a “servizi per l’urbanizzazione secondaria” e “verde attrezzato”, osterebbero all’insediamento della struttura descritta, che anche a voler considerare le poche attività sussumibili sotto la “voce” urbanizzazione secondaria, presenterebbe una marcata caratterizzazione commerciale; né potrebbe assumere valenza abilitante il generico e vago impegno, sottoscritto e trascritto dalla società interessata, di destinare ad uso pubblico la struttura. L’art. 23 cit. vieterebbe inoltre la realizzazione di parcheggi in Zona F2 (riservata ad aree di verde attrezzato) in modo tale da consumarne totalmente le potenzialità a dispetto delle attrezzature per il gioco, degli impianti sportivi, etc.

5.2. Con il secondo motivo è dedotta: Violazione degli artt. 16 e 17 della legge 1150/42. Violazione dell’art. 2 della legge 1187/68. Violazione dell’art. 37, comma 5 della legge regionale 56/80 e dell’art. 17 comma 2 legge regionale 20/2001. Violazione dell’art. 8 del reg. reg. 1/2004. Violazione degli artt. 18, 20, 22, 23 e 39 delle n.t.a. del vigente PRG. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria. A ben vedere la Zona F1 e quella F2 costituirebbero vincoli sostanzialmente espropriativi come tali suscettibili di decadenza quinquennale, con il risultato che le aree in questione, ormai, avuto riguardo alla data di imposizione del vincolo, avrebbero dovuto esser considerate aree bianche caratterizzate da un bassissimo indice edificatorio. La conclusione sarebbe corroborata dall’art. 39 delle n.t.a. che proprio per l’ipotesi della decadenza del vincolo nelle Zone F, avrebbe previsto la destinazione suppletiva di area E agricola.

5.3. Con il terzo motivo è dedotta: Violazione degli artt. 16 e 17 della legge 1150/42. Violazione dell’art. 2 della legge 1187/68. Violazione dell’art. 37, comma 5 della legge regionale 56/80 e dell’art. 17 comma 2 legge regionale 20/2001. Violazione dell’art. 8 del reg. reg. 1/2004. Violazione degli artt. 18, 20, 22, 23 e 39 delle n.t.a. del vigente PRG. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria. Alla fine degli anni ’70 l’amministrazione comunale aveva approva un piano particolareggiato in variante al PRG, che prevedeva, nell’area oggetto dell’insediamento contestato, una scuola media con annessa palestra coperta e verde attrezzato. Anche se la previsione non ha trovato realizzazione, il Piano particolareggiato conserverebbe validità, ed in ogni caso, anche se lo stesso dovesse considerarsi decaduto, l’effetto sarebbe quello dell’assoggettabilità delle aree al regime delle aree bianche, con le già viste ricadute in termini di edificabilità.

5.4. Violazione degli artt. 5, punto 14, 22 e 23 delle n.t.a. Violazione degli artt. 11 e 12 del dPR 380/2001. Eccesso di potere nelle sue varie figure sintomatiche. Ai fini del computo delle cubature si sarebbe considerata l’altezza con riferimento al profilo altimetrico preesistente all’intervento e non già alla quota del marciapiede stradale. Si sarebbe altresì ampiamente sforato il rapporto di copertura rispetto a quello previsto (max 30% in zona F1) consentendo maggiori superfici e volumetrie in forza di un artifizio teso ad escludere dal computo delle superfici coperte alcune aree del piano seminterrato (in realtà del tutto equiparabile ad un piano terra).

5.5. Violazione degli artt. 5, punto 14, 22 e 23 delle n.t.a. Violazione degli artt. 11 e 12 del dPR 380/2001. Eccesso di potere nelle sue varie figure sintomatiche (n. 8 dell’appello). Il rapporto di copertura sarebbe stato falsato dall’aver considerato, tra le superfici disponibili, anche un lotto di 2681 mq acquisito sulla base di un preliminare di compravendita sottoscritto in data 25/6/2004 dalla Distefano costruzioni s.r.l. con la sig.ra Vita Maria de Bellis, poi rimasto inadempiuto e dichiarato risolto con sentenza, su iniziativa del promittente venditore. Tra l’altro il preliminare citato subordinava tutti gli effetti della compravendita, ivi compresa la trasmissione del possesso, alla stipula del contratto definitivo, indi non v’era ragione alcuna per considerare ai fini del computo sopradetto il lotto in questione.

5.6. Violazione degli artt. 7 e 19 del d.lgs. 165/2001. Violazione degli artt. 50, 109 e 110 del dlgs 267/2000. Violazione dell’art. 4 del dPR 1092/73. Violazione degli artt. 28 e 97 Cost. Violazione dell’art. 50 del dPR 917/86. Incompetenza. Eccesso di potere per sviamento.

L’intera vicenda edilizia sarebbe stata curata da un tecnico, già collocato a riposo per raggiunti limiti di età, del quale l’amministrazione si è avvalsa in forza di un semplice rapporto di collaborazione coordinata e continuativa senza vincolo di subordinazione. Tale vincolo contrattuale non sarebbe sufficiente a conferire al tecnico il potere di impegnare definitivamente la volontà dell’Ente.

5.7. Violazione degli artt. 4, 7 e 8 del d.lgs. 114/98. Violazione degli artt. 2,4,5,8,11,12,13,14 e 28 delle legge regionale 11/2003. Violazione degli artt. 2,3,4,6,8,9 e 11 del reg. reg. 1/2004. Violazione degli artt. 3 e ss. del regolamento comunale del commercio approvato con del. n. 57/2001. Eccesso di potere in varie forme sintomatiche. L’intervento progettato sarebbe teso alla realizzazione di un centro commerciale - come sarebbe dimostrato dalla totale integrazione delle sue varie parti realizzata a mezzo di impianti e servizi comuni – nell’ambito del quale è insediata una media struttura di vendita (M3) avente una superficie pari a 2499 mq (a fronte di un massimo previsto per legge di 2500 mq) nonché altri esercizi commerciali per un ulteriore complessiva superficie di circa 5000 mq. Il risultato sarebbe quello di aver realizzato di fatto una grande struttura di vendita interconnessa, definita dal d.lgs 114/98, art. 4 comma 1 lett.g) quale “Centro commerciale”, eludendo le procedure autorizzative che prevedono l’intervento di numerosi enti nell’ambito di un’apposita conferenza di servizi.

5.8. Violazione degli artt. 4, 7 e 8 del d.lgs. 114/98. Violazione degli artt. 2,4,5,8,11,12,13,14 e 28 delle legge regionale 11/2003. Violazione degli artt. 2,3,4,6,8,9 e 11 del regolamento reg. 1/2004. Violazione degli artt. 3 e ss. del regolamento comunale del commercio approvato con del. n. 57/2001. Eccesso di potere in varie forme sintomatiche. Il dirigente dell’Ente locale avrebbe considerato l’autorizzazione commerciale n.4/2004 quale atto dovuto conseguente al rilascio del titolo edilizio, con ciò operando un’inversione logica rispetto a quanto previsto dal legislatore a mezzo della normativa richiamata, che invece impone il rilascio del titolo edilizio contestualmente o successivamente a quello commerciale.

5.9. Violazione degli artt. 4, 7 e 8 del d.lgs. 114/98. Violazione degli artt. 2,4,5,8,11,12,13,14 e 28 delle legge regionale 11/2003. Violazione degli artt. 2,3,4,6,8,9 e 11 del reg. reg. 1/2004. Violazione degli artt. 3 e ss. del regolamento comunale del commercio approvato con del. n. 57/2001. Eccesso di potere in varie forme sintomatiche. L’intervento realizzato non soddisferebbe lo dotazione di parcheggi necessaria (conditio sine qua non dell’autorizzazione commerciale), dovendosi applicare, ai sensi della normativa surrichiamata, lo standard di 1,5 mq per ogni metro quadrato di superficie di vendita.

5.10. Violazione degli artt. 4, 7 e 8 del d.lgs. 114/98. Violazione degli artt. 2,4,5,8,11,12,13,14 e 28 delle legge regionale 11/2003. Violazione degli artt. 2,3,4,6,8,9 e 11 del reg. reg. 1/2004. Violazione degli artt. 3 e ss. del regolamento comunale del commercio approvato con del. n. 57/2001. Eccesso di potere in varie forme sintomatiche. Il regolamento comunale faceva divieto di autorizzare medie strutture di vendita superiori, salvo che per le iniziative relative ad immobili per i quali, al dicembre 2001 (data di entrata in vigore del regolamento), fosse già stato approvato il progetto di intervento. Erroneamente il dirigente dell’Ufficio Tecnico avrebbe considerato la nota del 24/7/2000, prot. 3147, quale valido atto di approvazione, avendo essa ad oggetto solo uno stralcio del progetto complessivo necessitante di una serie di atti autorizzativi rimessi alla competenza di altre autorità.

5.11. Violazione degli artt. 6 comma 1, lett. c) ed 8 del regolamento reg. 1/2004. Le norme citate prevedono che le medie strutture di vendita devono essere dotate di ingresso con proprie corsie di accelerazione e decelerazione ad uso esclusivo delle strutture. Quella assentita non ne sarebbe dotata.

5.12. Violazione degli artt. 4, 7 e 8 del d.lgs. 114/98. Violazione degli artt. 2,4,5,8,11,12,13,14 e 28 delle legge regionale 11/2003. Violazione degli artt. 2,3,4,6,8,9 e 11 del reg. reg. 1/2004. Violazione degli artt. 3 e ss. del regolamento comunale del commercio approvato con del. n. 57/2001. Eccesso di potere in varie forme sintomatiche. L’autorizzazione n. 4/2004 presupponeva che la struttura non sarebbe stata o divenuta un centro commerciale. Tuttavia, l’amministrazione stessa ha autorizzato, poco tempo dopo, l’apertura di un nuovo esercizio commerciale denominato “Alex Family” con ciò creando essa stessa tutti i requisiti per la configurazione di un centro commerciale.

6. Il primo motivo è fondato.

Le parti in proposito dibattono sul tenore dell’art. 22 delle n.t.a., individuando in esso il reale nodo esegetico della fattispecie. Esso prevede che la Zona F1 debba essere destinata a “servizi per l’urbanizzazione secondaria”, essendo ivi consentita la realizzazione di “a) asili nido, scuole materne, elementari e medie inferiori; b) attrezzature di interesse comune: religiose, culturali, sociali, assistenziali amministrative, per pubblici esercizi….”.

6.1. Secondo l’amministrazione ed i controinteressati, l’intervento progettato sarebbe sussumibile nella categoria di cui alla lett. b), e ciò per due concorrenti motivi: 1) il centro polifunzionale contemplerebbe, accanto ad alcuni pubblici esercizi di natura commerciale, una serie di attività rientranti nell’ambito dello sport e del benessere, ossia attività private contrassegnate da una generale fruibilità pubblica; 2) il titolare del permesso di costruire si è impegnato, con dichiarazione trascritta presso la competente Conservatoria, e come tale anche opponibile ad eventuali terzi aventi causa, a mantenere la destinazione a pubblico servizio della struttura assentita.

6.2. Gli argomenti non appaiono sufficienti. Come condivisibilmente rilevato dagli appellanti, la tesi della compatibilità dei centri commerciali, o comunque delle medie e grandi strutture di vendita con la Zona F1 si scontra innanzitutto, sul piano della coerenza sistematica, con l’art. 18 delle n.t.a. che individua nelle Zone D4 proprio l’insediamento di particolari attività commerciali quali le grandi strutture per il commercio al minuto, i supermarket, etc.; ma si scontra altresì con la ratio della Zona F1 e la relatva natura di area adibita a servizi per l’urbanizzazione secondaria.

Gli interventi di urbanizzazione secondaria sono descritti dall’art. 16 comma 8 del dPR 380/2001 (sebbene ai fini del computo dei relativi oneri) ed individuati negli “asili nido e scuole materne, scuole dell'obbligo nonché strutture e complessi per l'istruzione superiore all'obbligo, mercati di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie…. impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate”. Sebbene l’elencazione non possa considerarsi tassativa anche a fini diversi dalla quantificazione degli oneri, essa lascia intuire il legame che unisce le varie tipologie di intervento, tutte tese a soddisfare interessi essenziali della persona di natura non commerciale, salvo che per i mercati di quartiere, i quali costituiscono una forma distributiva storicamente presente ed importante nel contesto commerciale italiano, caratterizzata dalla presenza di più operatori commerciali su aree pubbliche, specializzati nella vendita di prodotti “freschi” a prezzi tendenzialmente più bassi grazie ai minori costi fissi di gestione della struttura ed alla concorrenza resa possibile dalla presenza di una moltitudine di piccoli operatori. In questo senso i mercati di quartiere possono considerarsi “pubblici esercizi” rientranti nell’ampia nozione di intervento di urbanizzazione secondaria, ossia strutture commerciali pubbliche adibite al piccolo commercio al minuto di generi alimentari di prima necessità o comunque di uso quotidiano.

Non possono però farvisi rientrare anche le medie o grandi strutture commerciali private, sebbene inserite in contesti integrati nei quali insistono bar, piccoli negozi, od anche locali adibiti ad uso ricreativo, sportivo o parasanitario. L’esistenza di tali altre attività non vale, del resto, a configurare l’intero centro quale “attrezzatura di interesse comune” fruibile dall’intera collettività poiché, anche a volere considerare la funzionalità delle stesse a garantire il soddisfacimento di bisogni connessi alla sport o alla salute, esse non giustificano il contestuale insediamento di strutture squisitamente commerciali di grandi dimensioni che sfuggono ictu oculi alla nozione di attrezzatura di interesse comune..

6.3. Anche l’impegno a mantenere la destinazione pubblica della struttura assentita, rimane priva di salvifica utilità per gli interessi degli appellati, ove si consideri che l’aver autorizzato l’edificazione per l’insediamento, tra l’altro, di una media struttura di vendita e di altri esercizi commerciali, rende ab inizio la dichiarazione contraddittoria e vaga, implicitamente presupponendo che la struttura citata possa essere considerata pubblico esercizio ai sensi dell’art. 22 delle n.t.a. o che il mantenimento delle ulteriori e diverse attività possa essere, di per sé solo, sufficiente a garantire, nel complesso, una configurazione infrastrutturale pubblica all’iniziativa economica.

7. Fondato appare anche il quinto motivo a mezzo del quale è dedotta l’erroneità del computo del rapporto di copertura. Secondo quanto condivisibilmente sostenuto dagli appellanti il rapporto di copertura è stato falsato dall’aver considerato tra le superfici disponibili anche un lotto di 2681 mq acquisito sulla base di un preliminare di compravendita sottoscritto in data 25/6/2004 dalla Distefano costruzioni s.r.l. con la sig.ra Vita Maria de Bellis, poi rimasto inadempiuto e dichiarato risolto con sentenza, su iniziativa del promittente venditore.

7.1. A prescindere dalle sorti giudiziarie del citato preliminare di compravendita (gli appellanti documentano l’intervento di una pronuncia del Tribunale di Bari, sez. staccata di Acquaviva delle Fonti del 7/7/2011, dichiarativa della risoluzione del contratto), ciò che in questa sede giova evidenziare è che un contratto obbligatorio, quale quello di cui si discute, non può costituire titolo atto a sorreggere e giustificare incrementi volumetrici dell’edificato.

L’amministrazione in proposito si difende valorizzando il concetto di “disponibilità” delle aree ai fini del rilascio del titolo abilitativo, a suo dire pacificamente integrata dal contratto preliminare di compravendita, secondo quanto affermato da nutrita giurisprudenza.

La difesa non coglie però la peculiarità della fattispecie in esame, ove non è in discussione la legittimazione del promissario acquirente ad ottenere il permesso di costruire in relazione allo specifico lotto oggetto d’obbligo, quanto, piuttosto, la possibilità di computare il lotto promesso in vendita nel calcolo della volumetria assentibile - o per quanto qui specificamente rileva - della superficie massima copribile, senza una preliminare cessione di cubatura o, in generale, un atto di asservimento che inibisca al promittente venditore lo sfruttamento delle potenzialità edificatorie.

Ai fini dello sfruttamento delle capacità edificatorie di suoli altrui occorre, cioè, un vincolo di natura reale, impermeabile alle sorti vicenda traslativa programmata. Se ciò non fosse, evidentemente, la programmazione urbanistica ed i limiti dalla stessa dettati risulterebbero vanificati, non potendo l’amministrazione opporre al privato che si sia impegnato a vendere, un diniego ad edificare motivato dall’edificazione già assentita al promissario, ove l’impegno sia, per qualsivoglia ragione, venuto meno. Diversamente è a dirsi, invece, per il caso in cui il promissario costruisca sul suolo rispettando le capacità edificatorie di quest’ultimo atteso che nessun vulnus ne deriva alla programmazione urbanistica per la quale, se è essenziale il rispetto dei limiti dell’edificazione, resta indifferente chi sia l’autore di quest’ultima, sia esso il proprietario, o altro soggetto avente a qualsiasi titolo la disponibilità del suolo.

Tornando al caso di specie, è pacifico che il rapporto di copertura sulla base del quale il titolo ad aedificandum è stato rilasciato, ha interessato erroneamente anche l’area promessa in vendita falsandone gli esiti in termini di rispetto della percentuale massima consentita.

8. L’accoglimento dei sopradetti motivi è sufficiente a dare completa soddisfazione alla domanda degli appellanti, non occorrendo l’analitica disamina delle altre censure di natura urbanistica, comunque non decisive, avuto anche riguardo alla radice squisitamente commerciale dell’interesse che le anima.

9. In ordine ai residui motivi, relativi ai vizi propri dell’autorizzazione commerciale n. 4/2004, deve rilevarsi che a quest’ultima ha fatto seguito l’autorizzazione n. 16 del 10 luglio 2009, con la quale il Comune di Gioia del Colle ha autorizzato l’apertura di un “Centro commerciale di interesse locale” (insediamento previsto dall’art. 2 del reg. reg. 1/2004 e dall’art. 5 del regolamento comunale approvato con deliberazione consiliare n. 18 del 2006) sulla base della scissione dell’originaria media struttura di vendita (M3 alimentare e non) già assentita con l’aut. 4/2004 in due medie strutture (M2 – l’una alimentare e non, e l’altra sono non alimentare), integrate da ulteriori esercizi di vicinato. Tale ultimo provvedimento costituisce l’oggetto del giudizio n.6285/2010. Esso determina l’improcedibilità dei motivi aventi ad oggetto l’autorizzazione commerciale sostituita, ed impone invece di concentrare lo scrutinio sulla più recente controversia.

B - Quanto al giudizio 6285/2010.

10. Come anticipato, anche il relazione a questo gravame il TAR ha dichiarato il difetto di legittimazione ad agire della ricorrente (solo Pandiva s.r.l.) esitando in rito il giudizio (sul punto si rinvia alle considerazioni comuni di cui al par. 3). Ha aggiunto tuttavia un ulteriore ragione di inammissibilità, segnatamente individuata nella violazione del ne bis in idem in relazione a tutte le censure di carattere urbanistico già oggetto di vaglio nel giudizio conclusosi con sentenza 2393/07.

In proposito l’appellante rileva che detta sentenza è ancora sub iudice e che comunque essa si è arrestata a profili preliminari, senza giungere all’esame, in merito, delle censure spiegate.

Ai fini che qui rilevano non occorre prendere posizione sul punto poiché l’accoglimento di una parte delle censure di carattere urbanistico, giusto quanto sopra disposto, all’esito dell’odierno giudizio, richiamato in funzione preclusiva dal primo giudice, elide in radice la questione problematica. L’appellante può cioè giovarsi del giudicato su tali questioni, semplicemente evidenziandone le ricadute vizianti sull’autorizzazione commerciale da ultimo rilasciata. Essa è illegittima in ragione dell’incompatibilità urbanistica delle strutture ove è insediato il centro commerciale ed esercitata l’attività di vendita. Inutile, in quanto non decisivo, l’esame delle ulteriori censure di natura commerciale pure riproposte dall’appellante.

11. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa loro riunione, li accoglie e per l'effetto, in riforma delle sentenze gravate, annulla il permesso di costruire n. 115 dell’11/10/2004 e le autorizzazioni edilizie conseguenti, annulla l’autorizzazione commerciale n. 16 del 10 luglio 2009. Dichiara improcedibile il ricorso in relazione all’autorizzazione commerciale n. 4/2004. Salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.

Condanna le parti resistenti e controinteressate al pagamento, in solido, delle spese del doppio grado di giudizio in favore di Pandiva s.r.l., che in via equitativa e forfettaria liquida in €. 5.000, oltre oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Giorgio Giaccardi, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Guido Romano, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/05/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

 

Autore/Fonte: www.giustizia-amministrativa.it AVVOCATO NARDELLI (STUDIO LEGALE NARDELLI)        

   

 

 
 


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