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20 LUGLIO 2011 - CONSIGLIO DI STATO QUARTA SEZIONE, NR.4408 DEL 20 LUGLIO 2011 - PRES.GIACCARDI REL.SABATINO

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' - ACQUISIZIONE SANANTE EX ART. 43 COMMA 3 DEL TESTO UNICO SULL'ESPROPRIAZIONE - E' STATA ESPUNTA DAL MONDO GIURIDICO CON SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE NR.293 DEL 08 OTTOBRE 2010 - SENTENZA DI PRIMO GRADO CHE NE HA FATTO APPLICAZIONE - DEVE CONSIDERARSI NON CORRETTA

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA'  -  IRREVERSIBILE TRASFORMAZIONE DEL FONDO IN PRESENZA DI ANNULLAMENTO DELLA PROCEDURA DI OCCUPAZIONE E DI ESPROPRIO - NON FA VENIR MENO L'OBBLIGO RESTITUTORIO DA PARTE DELL'AMMINISTRAZIONE IN ASSENZA DI UTILIZZO DA PARTE DELLA P.A. DI ULTERIORI STRUMENTI CONSENSUALI OD AUTORITATIVI PER L'ACQUISTO DELLA PROPRIETA'

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA'  -  IRREVERSIBILE TRASFORMAZIONE DEL FONDO IN PRESENZA DI ANNULLAMENTO DELLA PROCEDURA DI OCCUPAZIONE E DI ESPROPRIO - RISARCIMENTO DEL DANNO - ILLECITO PERMANENTE -  TERMINE INZIALE DELL'ILLECITO -  VA INDIVIDUATO NELL'APPRENSIONE DEL BENE IN IPOTESI DI PROCEDURA INTERAMENTE ANNULLATA E NELLA SCADENZA DEL TERMINE QUINQUENNALE DI OCCUPAZIONE IN IPOTESI DI ANNULLAMENTO DEL DECRETO DI ESPROPRIO

 

N. 04408/2011REG.PROV.COLL.

N. 10358/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello n. 10358 del 2008, proposto da Ra.Ri.Pro. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, Rossana Rossetti e Lu Somaru s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall’avv. Umberto Segarelli, ed elettivamente domiciliate presso quest’ultimo in Roma, via G.B. Morgagni n. 2/a, come da mandato in calce al ricorso introduttivo;

contro

Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in persona del ministro legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n.12;
Ministero della difesa - Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, in persona del ministro legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n.12;

nei confronti di

Fintecna - Finanziaria per i settori industriale e dei servizi s.p.a. (già Servizi tecnici s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Stefano Vinti, ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, via Emilia n. 88, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, sezione prima, n. 330 del 3 luglio 2008;

 


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 maggio 2011 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Umberto Segarelli, Gabriele Pafundi, su delega dell'avv. Stefano Vinti, nonché l'avvocato dello Stato Antonio Grumetto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


 

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 10358 del 2008, Ra.Ri.Pro. s.r.l., Rossana Rossetti e Lu Somaru s.r.l. propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, sezione prima, n. 330 del 3 luglio 2008 con la quale sono stati parzialmente accolti cinque diversi ricorsi, sotto meglio indicati, proposti contro il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministero della difesa - Comando generale dell’Arma dei Carabinieri per ottenere:

1) quanto al ricorso n. 249 del 2004: l'accertamento: a) dell'obbligo di restituzione alla società RA.RI.PRO dei terreni invalidamente espropriati in Terni ed illecitamente occupati per la realizzazione della sede del Comando Provinciale dei Carabinieri; b) dell'obbligo del risarcimento dei danni per l'illecita occupazione dei terreni stessi, sino al momento della loro futura restituzione; c) in subordine, dell'obbligo del risarcimento del danno derivante dalla definitiva spoliazione dei beni, qualora se ne ritenga impossibile o non dovuta la restituzione reale;

2) quanto al ricorso n. 143 del 2005: l'accertamento dell'obbligo del risarcimento dei danni subìti dalla società "Lu Somaru" per la mancata utilizzazione dei terreni da essa condotti in locazione e di proprietà della soc. RA.RI.PRO. e della sig.ra Rossetti, per effetto della illecita occupazione dei terreni stessi;

3) quanto al ricorso n. 144 del 2005: l'accertamento: a) dell'obbligo di restituzione alla signora Rossana Rossetti in Proietti (anche quale erede di Elda Mancini) dei terreni invalidamente espropriati in Terni ed illecitamente occupati per la realizzazione della sede del Comando Provinciale dei Carabinieri; b) dell'obbligo del risarcimento dei danni per l'illecita occupazione dei terreni stessi, sino al momento della loro futura restituzione; c) in subordine, dell'obbligo del risarcimento del danno derivante dalla definitiva spoliazione dei beni, qualora se ne ritenga impossibile o non dovuta la restituzione reale.

4) quanto al ricorso n. 482 del 2005: l’annullamento, o la dichiarazione di nullità, dell'atto 3 settembre 2004, prot. B3-21757, con il quale il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Dipartimento OO.PP. ed Edilizia, Direzione Generale edilizia statale ed interventi speciali, div. II, ha dichiarato "acquisiti al demanio statale" i terreni occupati per la sede del Comando Provinciale dei Carabinieri di Terni, già invalidamente espropriati alla soc. RA.RI.PRO, a Rossana Rossetti e ad Elda Mancini.

5) quanto al ricorso n. 483 del 2005: l’annullamento, o la dichiarazione di nullità, dell'atto 3 settembre 2004, prot. B3-21757, con il quale il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Dipartimento OO.PP. ed Edilizia, Direzione Generale edilizia statale ed interventi speciali, div. II, ha dichiarato "acquisiti al demanio statale" i terreni occupati per la sede del Comando Provinciale dei Carabinieri di Terni, già invalidamente espropriati alla soc. RA.RI.PRO, a Rossana Rossetti e ad Elda Mancini.

La questione sottoposta al giudice di prime cure, sostanzialmente unitaria, ancorché articolata nei cinque ricorsi indicati in epigrafe, trae origine dalla procedura espropriativa condotta per l'acquisizione del terreno per la nuova sede del Comando provinciale dei Carabinieri di Terni.

Nell'ambito di detta procedura, sono state occupate, in vista del futuro esproprio, porzioni immobiliari di proprietà rispettivamente della società RA.RI.PRO. e delle signore Rossana Rossetti in Proietti ed Elda Mancini. Una parte dello stesso terreno, inoltre, era condotto in locazione dalla società "Lu Somaru", titolare dell'omonimo ristorante; la società conduttrice la utilizzava per effettuarvi stagionalmente il servizio all'aperto.

La procedura espropriativa è stata portata a termine con l'emissione di un formale decreto di esproprio (unico per tutte le porzioni da acquisire). Detto decreto, però, è stato annullato dal T.A.R. Umbria, con sentenza 4 maggio 2000, n. 485, in considerazione del fatto che esso risultava emesso dopo la scadenza dei termini di cui all'art. 13 della legge n. 2359/1865, decorrenti dalla data della dichiarazione di pubblica utilità. Vero è che detti termini erano stati reiteratamente prorogati con atti formali, ma la medesima sentenza ha riconosciuto illegittimi, ed annullato, anche gli atti di proroga, siccome emessi senza la previa comunicazione dell'avviso del procedimento alle parti private (legge n. 241/1990, art. 7).

La sentenza del Tribunale amministrativo regionale è stata confermata dal Consiglio di Stato, sezione IV, con decisione 16 marzo 2001, n. 1578.

Formatosi il giudicato sull'annullamento del decreto di esproprio, le parti private (rispettivamente: la società RA.RI.PRO., la signora Rossana Rossetti anche in qualità di erede di Elda Mancini, e la società "Lu Somaru") hanno proposto, ciascuna per proprio conto, i ricorsi n. 249/2004, 143/2005 e 144/2005 (i primi tre dei cinque ricorsi riuniti con la decisione gravata).

In particolare, la società RA.RI.PRO. e la signora Rossetti hanno chiesto la restituzione delle aree illegittimamente espropriate e come tali illecitamente detenute dalla p.a., ovvero, in subordine, il risarcimento per equivalente; nonché, in ogni caso, il risarcimento per il mancato godimento del suolo per tutta la durata dell'occupazione illegittima.

La società "Lu Somaru", da parte sua, ha chiesto il risarcimento dei danni derivanti dalla mancata utilizzazione del terreno condotto in locazione ed illegittimamente occupato.

Nello stesso periodo nel quale venivano proposti i tre ricorsi ora citati, con atto 3 settembre 2004, prot. B3-21757, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Dipartimento OO.PP. ed Edilizia, Direzione Generale edilizia statale ed interventi speciali, div. II, ha dichiarato "acquisiti al demanio statale" i terreni occupati per la sede del Comando Provinciale dei Carabinieri di Terni, già invalidamente espropriati alla soc. RA.RI.PRO, a Rossana Rossetti e ad Elda Mancini.

L'atto risulta motivato, essenzialmente, con la considerazione che nelle more del pregresso giudizio di annullamento degli atti espropriativi le aree occupate erano state irreversibilmente trasformate con la realizzazione dell'opera pubblica.

L'atto del 3 settembre 2004 è stato impugnato con i ricorsi n. 482 e 483/2005 (gli ultimi due dei cinque riuniti con la decisione impugnata) proposti rispettivamente dalla società RA.RI.PRO. e dalla signora Rossetti.

Resistono ai ricorsi, per quanto di rispettivo interesse, le pubbliche amministrazioni (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero della Difesa e Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri) nonché la società Servizi Tecnici (evocata quale parte coobbligata in solido nei primi tre ricorsi).

Le parti resistenti sollevano diverse eccezioni di rito e di merito. Da ultimo, la difesa delle amministrazioni pubbliche ha chiesto che il giudice amministrativo, qualora ritenga che i ricorsi meritino accoglimento, faccia applicazione dell'art. 43, comma 3, del d.lgs. n. 327/2001 (testo unico delle espropriazioni per p.u.), e cioè disponga in favore delle parti ricorrenti il risarcimento del danno (da liquidare secondo i criteri indicati dallo stesso articolo) con esclusione della restituzione del bene, senza limiti di tempo.

I ricorsi venivano quindi decisi con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R., previa riunione, riteneva parzialmente fondate le doglianze, disponendo in merito al risarcimento del danno.

Contestando le statuizioni del primo giudice, le parti appellanti evidenziano l’errata valutazione del pregiudizio da loro subito, ed agiscono in appello per sentire accogliere in pieno le loro istanze in merito all’attribuzione delle voci di danno non ritenute fondate dal T.A.R..

Nel giudizio di appello, si è costituita l’Avvocatura dello Stato per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e per il Ministero della difesa - Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, nonchè Fintecna - Finanziaria per i settori industriale e dei servizi s.p.a. (già Servizi tecnici s.p.a.), chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

Alla pubblica udienza del 3 maggio 2011, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.

DIRITTO

1. - L’appello è fondato in parte e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.

2. - Con il primo motivo di ricorso, gli appellanti deducono l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto la domanda di restituzione dei beni, oggetto dei ricorsi di primo grado n. 249/2004 e n. 144/2005, in base alla domanda dell’amministrazione di applicazione da parte dello stesso giudice della disposizione di cui all’art. 43 comma 3 del testo unico sull’espropriazione. Nel dettaglio, la censura si rivolge agli aspetti procedimentali per la proposizione di tale istanza, rilevando come la stessa non fosse stata notificata alle parti e quindi non potesse essere esaminata in sede giudiziaria.

2.1. - La doglianza va accolta, seguendo tuttavia un iter motivazionale diverso.

Occorre infatti rilevare che la norma de qua è stata oramai espunta dall’ordinamento, giusta la sentenza della Corte costituzionale, 8 ottobre 2010, n. 293 che ne ha dichiarato la illegittimità costituzionale. Pertanto di tale norma non può più farsi applicazione anche in relazione ai giudizi pendenti, trattandosi in questo caso di rapporti non esauriti.

Ne discende che, come per fattispecie similari (vedi ad esempio, Consiglio di Stato, sez. IV, 1 giugno 2011, n. 3331), la parte della sentenza gravata che fa riferimento a tale norma, sia al fine di darne attuazione in sede di giudizio, come pure per dettare prescrizioni all’ente pubblico, deve ritenersi non più corretta.

Infatti, non potendo più essere azionato tale meccanismo procedimentale accelerato, deve ritenersi che gli enti pubblici, al fine di sanare le situazioni illegittime verificatesi, abbiano unicamente la possibilità di ottenere il consenso della controparte per la stipula di un contratto di vendita, anche con funzione transattiva, oppure agire con un nuovo procedimento espropriativo. L’impossibilità di applicazione del sistema normativo di cui all’art. 43, ora dichiarato illegittimo costituzionalmente, travolge anche le pronunce giurisdizionali che di tale strumento hanno fatto uso, qualora sulle stesse, come nel caso in esame, non sia caduto il giudicato.

Tali ragioni consentono quindi di accogliere la censura proposta, per ragioni diverse da quelle proposte, ma comprese nell’ambito cognitivo della domanda presentata in grado di appello.

La Sezione deve quindi unicamente pronunciarsi sulle modalità cui dovrà attenersi l’amministrazione per la quantificazione del danno risarcibile, fermo rimanendo che, perpetuandosi l’illegittima detenzione fino al momento dell’acquisizione della proprietà, fino a quel momento permarrà anche l’obbligo di tenere indenne il privato dalla conseguenze illegittime del fare amministrativo.

Tale affermazione si colloca nella scia di una giurisprudenza oramai consolidata di questa Sezione che ha già precisato (Consiglio di Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, nr. 290) come l’intervenuta realizzazione dell'opera pubblica non faccia venire meno l'obbligo dell'amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso. Ciò sulla base di un superamento dell’interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e all’irreversibile trasformazione dell’area effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato operata in relazione al diritto comune europeo.

Partendo dall’esame della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, deve ritenersi che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza Cedu 30 maggio 2000, ric. 31524/96, Società Belvedere Alberghiera). Nella sentenza citata, la Corte ha ritenuto che la realizzazione dell’opera pubblica non fosse impedimento alla restituzione dell'area illegittimamente espropriata, e ciò indipendentemente dalle modalità - occupazione acquisitiva o usurpativa - di acquisizione del terreno. Per tali ragioni, il proprietario del fondo illegittimamente occupato dall’amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell'occupazione e l'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare sia la restituzione del fondo che la sua riduzione in pristino.

La realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni.

Ne discende che, tranne che l’amministrazione intenda comunque acquisire il bene seguendo altri sistemi, consensuali o autoritativi, è suo obbligo primario procedere alla restituzione della proprietà illegittimamente detenuta.

3. - Con il secondo motivo di appello, viene lamentata la mancata condanna in solido della controinteressata Fintecna - Finanziaria per i settori industriale e dei servizi s.p.a. (già Servizi tecnici s.p.a.) al risarcimento dei danni. L’affermazione si fonda sulla affermazione della responsabilità di questa per l’illecito mantenimento del possesso dell’area e per il completamento dell’opera.

3.1. - La doglianza va respinta.

In disparte ogni considerazione sulla circostanza che la Fintecna - Finanziaria per i settori industriale e dei servizi s.p.a. (già Servizi tecnici s.p.a.) non potrebbe certamente procedere alla restituzione del bene, in quanto non più nel suo possesso e quindi, nei suoi confronti, la domanda potrebbe unicamente avere ad oggetto un risarcimento per equivalente, va evidenziato come la giurisprudenza mantiene ferma l’esclusiva responsabilità dell’ente delegante anche nei casi di procedura espropriativa svoltasi tramite il sistema della concessione, sulla base della constatazione di un potere di controllo in capo alla parte pubblica, a favore della quale opera l’impresa privata (da ultimo Cassazione civile, sez. I, 21 dicembre 2002, n. 18237).

Peraltro, la Fintecna - Finanziaria per i settori industriale e dei servizi s.p.a. aveva comunque anche in sede convenzionale chiarito i limiti della propria responsabilità, sebbene si tratti di un profilo contrattuale irrilevante nel rapporto con i terzi, ma importante ai fini della concreta ricaduta degli obblighi risarcitori.

La censura va quindi respinta.

4. - Con il terzo motivo di ricorso, si censura la sentenza nella parte in cui ha individuato il momento iniziale del fatto dannoso nella data di scadenza del termine quinquennale decorrente dall’immissione in possesso dei beni delle ricorrenti, ossia dal 24 marzo 1994. Secondo le ragioni d’appello, tale termine andava invece anticipato al momento dell’immissione, essendo da considerarsi inefficaci anche gli atti antecedenti qualora non si sia perfezionata la procedura espropriativa.

In secondo luogo, sempre nello stesso motivo, si censura la statuizione per cui il detto valore debba essere commisurato in rapporto al valore di mercato del bene alla detta data, dovendosi invece tener conto del loro valore al momento dell’immissione.

4.1. - La doglianza non ha pregio.

Questa Sezione ha già chiarito, con motivazione sulla quale non vi è ragione di ritornare (vedi la già citata Consiglio di Stato, sez. IV, 1 giugno 2011, n. 3331), che il risarcimento del danno da occupazione illegittima si qualifica come illecito permamente, e deve pertanto coprire le voci di danno da questa azione derivanti, dal momento del suo perfezionamento fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie.

Ciò impone quindi l’individuazione del momento iniziale e di quello finale del comportamento lesivo.

In relazione al termine iniziale, questo deve essere identificato nel momento in cui l’occupazione dell’area privata è divenuta illegittima, il che significa che decorre dalla prima apprensione del bene, ossia dalla sua occupazione, qualora l’intera procedura espropriativa sia stata annullata, oppure dallo scadere del termine massimo di occupazione legittima, qualora invece questa prima fase sia rimasta integra. Ciò in considerazione che il fatto iniziale di occupazione, se non sono stati annullati tutti gli atti a decorrere dalla dichiarazione di pubblica utilità, diviene illegittimo solo successivamente, ed in ragione degli ulteriori vizi del procedimento, normalmente collegati alla mancata tempestiva emanazione del decreto di esproprio.

In relazione al termine finale, questo deve essere individuato nel momento in cui la pubblica amministrazione acquisterà legittimamente la proprietà dell’area. A tal proposito, deve evidenziarsi come la già citata interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo ha eliminato ogni possibilità di individuare sistemi di acquisizione diversi da quello consensuale del contratto e quello autoritativo del procedimento espropriativo. Ciò è avvenuto dichiarando l’illegittimità, per contrasto con il principio di legalità, delle ricostruzioni che miravano ad individuare fatti o comportamenti (e quindi l’avvenuto completamento dell’opera pubblica o la richiesta del solo risarcimento come momento abdicativo implicito della proprietà) idonei a sostituire i sistemi legali di acquisto della proprietà. Infine, anche lo strumento di cui all’art. 43 del testo unico sull’espropriazione (che di fatto dava vita ad un procedimento espropriativo accelerato) è stato espunto dall’ordinamento, giusta la sentenza della Corte costituzionale n. 293 dell'8 ottobre 2010.

Pertanto, l’amministrazione può legittimamente apprendere il bene facendo uso unicamente dei due strumenti tipici, ossia il contratto, tramite l’acquisizione del consenso della controparte, o il provvedimento, e quindi anche in assenza di consenso, ma tramite la riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie. L’illecita occupazione, e quindi il fatto lesivo, permangono quindi fino al momento della realizzazione di una delle due fattispecie legalmente idonee all’acquisto della proprietà, indifferentemente dal fatto che questo evento avvenga consensualmente o autoritativamente.

Su tali premesse, anche la seconda censura contenuta nel motivo di ricorso va respinta, non potendosi certamente imporre la retrodatazione del fatto lesivo in un momento antecedente, se in quella data l’apprensione era da considerarsi del tutto legittima.

5. - Con il quarto motivo di diritto, si censura la sentenza nella parte in cui non ha valutato che il danno subito dovesse essere rivalutato anche in relazione agli interventi di trasformazione subiti dal suolo. Pertanto, tale valore andrebbe riconsiderato ai fini della determinazione del corrispettivo dovuto.

5.1. - La doglianza non ha pregio.

Occorre infatti rilevare che in questa sede si è espressamente stabilito come l’onere gravante in capo alle amministrazioni sia quello di restituire al proprietario il bene illegittimamente appreso, per cui il profilo risarcitorio si concentra essenzialmente sui danni dovuti per il tempo in cui si è protratta l’occupazione illegittima, senza alcuna considerazione dell’uso fattone dall’amministrazione che appare esterno all’obbligo di restituzione in pristino ed alla conservazione del bene.

Il profilo del valore delle opere realizzate si porrà solo se l’amministrazione deciderà di non avvalersi degli strumenti consensuali o autoritativi attribuitigli e sceglierà di restituire il bene comprensivo dell’immobile realizzato. In questo caso, occorre peraltro evidenziare come la disciplina rientri nell’ambito applicativo dell’art. 936 cod.civ., che regolamenta in dettaglio le diverse fattispecie possibili, regolando i rispettivi obblighi delle parti.

6. - Con il quinto motivo di ricorso, si censura il mancato riconoscimento in favore della Lu Somaru s.r.l. del danno subito per la perdita di godimento del bene, a seguito dell’occupazione intervenuta. Si sostiene che il fondamento di tale pretesa andrebbe individuato nella circostanza che gli atti di proroga dei termini della dichiarazione di pubblica utilità e di esproprio sono stati annullati anche in accoglimento delle impugnazioni di detta società, a cui va quindi riconosciuta la titolarità di un interesse diretto al risarcimento, sotto forma di lesione del proprio interesse legittimo alla correttezza della procedura espropriativa.

6.1. - La censura non può essere condivisa.

Come ha correttamente evidenziato il giudice di prime cure, “l'originaria dichiarazione di pubblica utilità dell'opera (realizzazione della nuova sede del Comando provinciale dei Carabinieri) non è stata mai impugnata o altrimenti contestata nel merito, sicché si può ritenere acclarata la rilevanza dell'interesse pubblico cui l'opera era preordinata. E d'altra parte non è controverso che l'opera sia stata realizzata in conformità al progetto legittimamente approvato, e che l'utilizzazione attuale sia ugualmente conforme a quel progetto. Il conclusivo atto di espropriazione è stato annullato per un vizio meramente procedurale, mentre sotto ogni altro profilo è rimasta incontroversa la rilevanza pubblicistica dell'interesse perseguito”.

La Lu Somaru s.r.l. non era proprietaria di terreni occupati, ma unicamente affittuaria di una loro porzione, utilizzata come area pertinenziale al ristorante da essa gestito, in particolare per svolgervi stagionalmente il servizio all'aperto, per cui “non sarebbe ragionevole né equo aggravare il risarcimento a carico dell'autore del danno, solo perché il proprietario, invece di servirsi direttamente dell'immobile, ne abbia ceduto il godimento ad un altro soggetto”.

In effetti, “l'illecito da risarcire non si è verificato al momento dell'occupazione degli immobili, né a quello della loro trasformazione, bensì al momento nel quale l'efficacia del decreto di occupazione è venuta meno per decorso dei termini, senza che fosse subentrato un nuovo titolo valido”.

Pertanto, al momento del perfezionamento della fattispecie lesiva, l’appellante Lu Somaru s.r.l. non poteva vantare alcuna pretesa sul bene, con ciò facendo venire meno ogni fondamento alla pretesa risarcitoria.

7. - Conclusivamente, la sentenza va confermata anche in relazione alle modalità di individuazione di quantificazione del danno da risarcire, atteso che la stessa ha indicato un criterio, desumibile dalla sua natura di fatto illecito "di valore" e non "di valuta", ed indicando i meccanismi di rivalutazione dello stesso, fermo ovviamente il primario obbligo di restituzione, gravante in capo alla parte pubblica.

8. - L’appello va quindi accolto, nei termini indicati in motivazione. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalla parziale novità della questione decisa e conseguenti alla pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 43 del testo unico sull’espropriazione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Accoglie in parte l’appello n. 10358 del 2008, nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, sezione prima, n. 330 del 3 luglio 2008, accoglie il ricorso di primo grado con diversa motivazione;

2. Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 3 maggio 2011, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei signori:

 

 

Giorgio Giaccardi, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Sandro Aureli, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere, Estensore

Raffaele Potenza, Consigliere

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 20/07/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)



 

Autore / Fonte: www.giustizia.amministrativa.it - AVVOCATO NARDELLI (STUDIO LEGALE NARDELLI) 


Autore / Fonte: WWW.GIUSTIZIA-AMMINISTRATIVA.IT- AVVOCATO GIOVANNI VITTORIO NARDELLI Studio Legale Nardelli

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