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15 MAGGIO 2012 - CONSIGLIO DI STATO SEZIONE QUARTA - NR.2759 DEL 15 MAGGIO 2012

EDILIZIA ED URBANISTICA - SCELTE DELL'AMMINISTRAZIONE NELLA REDAZIONE DELLA PIANIFICAZIONE URBANISTICA - NON NECESSITANO DI PUNTUALE E SPECIFICA MOTIVAZIONE CON RIFERIMENTO ALLE OSSERVAZIONI DEL PRIVATO INCISO - AMPLISSIMA DISCREZIONALITA' DELL'AMMINISTRAZIONE IN ASSENZA DI ASPETTATIVE QUALIFICATE DEL PRIVATO

 

N. 02759/2012REG.PROV.COLL.

N. 03419/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 3419 del 2004, proposto da I.FI.D. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Andrea Guarino, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, piazza Borghese, 3,

contro

- il COMUNE DI MELENDUGNO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Niceta Luigi Doria, con domicilio eletto presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
- la REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente pro tempore, non costituita;

per l’annullamento e/o la riforma

della sentenza nr. 3474/03 del T.A.R. della Puglia, notificata in data 29 gennaio 2004.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Melendugno;

Vista la memoria prodotta dalla appellante in data 13 marzo 2012 a sostegno delle proprie difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 13 aprile 2012, il Consigliere Raffaele Greco;

Udito l’avv. Giovanni Pesce, in sostituzione dell’avv. Guarino, per la appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


 

FATTO

La società I.FI.D. S.p.a. ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza con la quale il T.A.R. della Puglia ha respinto il ricorso da essa proposto avverso tutti gli atti del procedimento di formazione del P.R.G. di Melendugno, nonché avverso gli atti a questo presupposti, connessi e consequenziali.

A sostegno dell’appello, ha dedotto:

1) violazione e falsa applicazione della legge regionale della Puglia 31 maggio 1980, nr. 56; illogicità ed omessa valutazione delle risultanze processuali; erroneità nei presupposti di fatto e di diritto (in relazione all’erronea considerazione in fatto della sussistenza della “inadempienza” del Comune di Melendugno da parte del giudice di primo grado, che ha poi condotto a ritenere legittima l’integrale sostituzione del Commissario regionale agli organi locali);

2) difetto ed insufficienza di motivazione (con riferimento alla censura relativa alla mancata motivazione da parte del Commissario regionale del provvedimento di rigetto delle osservazioni avanzate dalla società istante);

3) omessa pronuncia (con riferimento alla censura con cui si era lamentata l’irrazionalità delle scelte del Commissario, che ha visto le proprietà del ricorrente essere interessate da un “coacervo di previsioni vincolistiche illogiche ed inutilmente vessatorie”).

Resiste il Comune di Melendugno, opponendosi con varie argomentazioni all’accoglimento dell’appello e concludendo per la conferma della sentenza impugnata. Non si è costituita, invece, la Regione Puglia.

All’udienza del 13 aprile 2012, la causa è stata ritenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Viene all’esame della Sezione il contenzioso promosso dalla società I.FI.D. S.p.a., nella qualità di comproprietaria di un’azienda agricola sita nel Comune di Melendugno, località “Roca Li Posti”, avverso gli atti relativi alla approvazione del P.R.G. del predetto Comune, nel quale il terreno di sua proprietà, originariamente classificato come zona agricola e solo in parte vincolato a parco urbano e zona di rispetto archeologico, veniva pressoché interamente vincolato all’inedificabilità (tranne una modesta destinazione in senso produttivo come D8 e D14).

Occorre precisare che all’adozione del P.R.G. ed al successivo iter procedimentale ha provveduto il Commissario ad acta, nominato dalla Regione Puglia nell’esercizio dei propri poteri sostitutivi, a fronte della dichiarata incompatibilità di molti consiglieri comunali, dopo che, tuttavia, la Giunta comunale di Melendugno aveva recepito e approvato, quale proposta di adozione da parte del Consiglio comunale, una versione del nuovo P.R.G., che veniva successivamente disattesa dal Commissario, nella quale il terreno di proprietà dell’appellante era in gran parte classificato come zona F10 (attrezzature e servizi per il tempo libero e sport di iniziativa privata) ed in parte in senso edificatorio residenziale e produttivo (C8 e D4).

Nel corso del procedimento successivo all’adozione di detto strumento urbanistico, l’odierna appellante aveva presentato osservazioni, non accolte dal Commissario ad acta, volte a contestare le conclusioni cui era pervenuto quest’ultimo in merito alla declassificazione e modificazione in peius dell’area di sua proprietà.

2. Tanto premesso, l’appello è infondato e va conseguentemente respinto.

3. Con il primo mezzo di gravame, l’appellante torna a lamentare l’illegittimità dell’intervento sostitutivo in virtù del quale il procedimento di formazione del P.R.G. per cui è causa, a partire dalla sua adozione, è stato gestito dal Commissario ad acta di nomina regionale, il quale avrebbe, inoltre, violato i limiti ad esso imposti dalla normativa regionale e dallo stesso provvedimento regionale di nomina.

3.1. Più precisamente, l’appellante censura la pronuncia del T.A.R. della Puglia per avere erroneamente considerato in fatto sussistente la “inadempienza” del Comune di Melendugno, rilevando, al contrario, come gli organi del Comune avessero correttamente posto in essere le varie fasi di cui si compone il procedimento di formazione del P.R.G. e come il Consiglio comunale non avesse potuto procedere alla adozione del piano non per negligenza o inerzia dei suoi componenti, ma solo per impossibilità “tecnica”, dovuta alla situazione di incompatibilità in cui erano venuti a trovarsi alcuni consiglieri comunali.

Quest’errore di fatto avrebbe, poi, a detta dell’appellante, influenzato la enunciazione di diritto del giudice di primo grado, il quale ha ritenuto che dall’inadempimento comunale sarebbe legittimamente scaturita “l’integrale sostituzione da parte del commissario regionale degli organi locali”. Siffatta statuizione, infatti, non terrebbe conto della circostanza che, pur volendo ammettere un inadempimento del (solo) Consiglio comunale, il Commissario avrebbe dovuto, ai sensi di legge ed a norma del provvedimento regionale di nomina, sostituirsi all’organo effettivamente inadempiente al solo fine di garantire “l’osservanza degli obblighi di legge” e non riavviare ex novo il procedimento di formazione del P.R.G., le cui fasi, invero, erano state correttamente espletate fino a quel momento dagli organi comunali competenti.

Ne conseguirebbe, dunque, l’illegittimità del procedimento di formazione del Piano, il quale sarebbe stato ripreso dal Commissario, non dalla fase di interruzione, ma dall’inizio, con azzeramento di tutta l’attività pregressa, disattendendo così il costante insegnamento di questo Consiglio di Stato, che esclude la retroattività dei poteri commissariali.

A ciò parte appellante aggiunge che, anche ammettendo che il Commissario potesse adottare autonomamente il piano, il suo operato sarebbe stato comunque illegittimo per difetto di motivazione, che avrebbe dovuto essere “particolarmente stringente”, data la difformità del provvedimento finale rispetto alle precedenti risultanze istruttorie o determinazioni endoprocedimentali.

3.2. La censura è infondata sotto ogni profilo per i motivi che vengono di seguito esplicitati.

3.3. Va condivisa, innanzi tutto, la conclusione del giudice di primo grado, il quale ben sottolinea come, ai fini della nomina del Commissario ad acta e dell’esercizio dei relativi poteri sostitutivi per la formazione del P.R.G., non sia per nulla rilevante il motivo che ha determinato l’inadempimento da parte del Comune degli oneri su di esso incombenti, ma unicamente il fatto oggettivo della mancata realizzazione di quanto imposto dalla normativa vigente.

Per quanto riguarda specificatamente la Regione Puglia, l’intervento sostitutivo è previsto espressamente dall’art. 55 della legge regionale 31 maggio 1980, nr. 56, il cui primo comma dispone: “Tutti i Comuni della Regione sono obbligati a dotarsi di un Piano Regolatore conforme alle prescrizioni della presente legge, entro due anni dall’entrata in vigore della stessa”, per poi aggiungere, al terzo comma: “In caso di inadempienza alle disposizioni del primo comma, la Giunta Regionale, previa diffida a provvedere nel termine di 60 giorni, si sostituisce ai Comuni per l’osservanza degli obblighi di legge, nominando a tal fine un commissario ad acta”.

Ebbene, dalla lettura della norma, non pare potersi dedurre l’esclusione dall’ambito applicativo della stessa di quei casi di inadempienza dovuti al mancato funzionamento dell’organo consiliare a causa della incompatibilità della maggioranza dei suoi membri. A voler ritenere diversamente, infatti, si giungerebbe alla conclusione che nei casi di inerzia cd. oggettiva, quali quello della fattispecie in esame, non essendo applicabile la norma citata, si legittimerebbero situazioni in contrasto con il principio di continuità dell’azione amministrativa.

La norma, al contrario, persegue l’obiettivo di garantire l’adozione e l’approvazione del piano, prevedendo, in caso di inerzia dell’ente locale, la nomina di un Commissario ad acta da parte dell’amministrazione regionale, senza distinguere tra i motivi dell’inadempimento, sia esso determinato dalla negligenza del Comune o da ragioni di impossibilità oggettiva.

Deve, pertanto, ritenersi sussistente, nel caso di specie, la situazione di “inadempienza” dell’organo consiliare, che ha dunque legittimamente determinato la nomina del Commissario ad acta da parte dell’amministrazione regionale, il tutto in aderenza a quanto previsto dal richiamato art. 55 della l.r. nr. 56 del 1980, e conformemente a quanto correttamente statuito dal giudice di primo grado.

3.4. Quanto, poi, all’assunta violazione dei principi giurisprudenziali in ordine alla irretroattività dei poteri commissariali, questa va esclusa nel caso di specie, non essendovi stato, in realtà, alcun riavvio dell’iter formativo del P.R.G., né alcun azzeramento dell’attività posta in essere in precedenza.

Non v’è dubbio, infatti, che, secondo l’orientamento giurisprudenziale costante, in tema di commissariamento dei poteri comunali di adozione del P.R.G., l’unico limite ravvisabile è quello dell’impossibilità che la nomina del Commissario ad acta abbia effetto retroattivo, dovendo in ogni caso esser fatti salvi gli atti istruttori già compiuti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 dicembre 2009, nr. 9006; id., 4 marzo 2003, nr. 1191). Ma questo, contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, è irrilevante ai fini della decisione del caso in esame.

Al riguardo, occorre tener presente che il Commissario è stato nominato dopo la “proposta” di adozione del P.R.G. formulata dalla Giunta Comunale ai sensi dell’art. 16 della citata l.r. nr. 56 del 1980, e prima che su di essa provvedesse il Consiglio Comunale con la delibera di adozione: dunque, il Commissario doveva esercitare i poteri consiliari in sede di adozione.

Tanto precisato, il punto nodale della questione sta, allora, nello stabilire quali siano tali poteri: se, cioè, il Consiglio comunale sia tenuto a recepire pedissequamente la “proposta” della Giunta, ovvero possa introdurvi modifiche, previa ulteriore istruttoria.

Ad avviso della Sezione, la risposta non può che essere la seconda, essendo il Consiglio comunale, ai sensi dell’art. 42 del decreto legislativo 18 agosto 2000, nr. 267, l’organo titolare della potestà pianificatoria, rispetto alla quale la “proposta” della Giunta ha un mero carattere endoprocedimentale e di impulso, di modo che è sempre possibile che la stessa non sia recepita intoto (laddove il Consiglio la reputi in parte non aderente ai criteri e indirizzi da esso stesso fissati a monte o ritenga di superare, per altre valutazioni, il documento pervenuto dalla Giunta).

Tale conclusione trova conferma in quell’orientamento giurisprudenziale che, in tema di pianificazione urbanistica, ha affermato il principio che la proposta di adozione di una variante, proprio perché tale, non è atto di particolare resistenza rispetto agli atti ad essa successivi del sub-procedimento di adozione, i quali hanno proprio lo scopo di consentire l’inserimento di modificazioni alle originarie scelte effettuate dal Comune (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, nr. 3589).

Correttamente, dunque, il Commissario ad acta ha disposto gli approfondimenti e le integrazioni istruttorie del caso e, legittimamente, all’esito, ha adottato le modifiche ritenute necessarie.

A fronte dei rilievi che precedono, deve, pertanto, ritenersi infondata anche la tesi, sostenuta dalla appellante, secondo cui, essendosi il Commissario ad acta discostato in parte qua dalla proposta della Giunta Comunale, avrebbe dovuto motivare in modo particolarmente intenso.

4. Infondato si appalesa anche il secondo motivo di appello, con il quale viene reiterata l’analoga doglianza articolata in primo grado avverso le determinazioni assunte dal Commissario ad acta in reiezione delle osservazioni proposte dalla società istante in ordine alla destinazione impressa al proprio terreno.

In particolare, assume l’appellante che il Commissario non avrebbe adeguatamente motivato la predetta reiezione, limitandosi a fare meramente riferimento allo “studio geologico ed accertamento presso la Soprintendenza Archeologica di Taranto”, senza tener conto delle opposte risultanze della relazione tecnico-geologica redatta dal consulente di parte.

Sul punto, non può che richiamarsi il pacifico indirizzo di questo Consesso, secondo cui le osservazioni formulate dai proprietari interessati costituiscono un mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una dettagliata motivazione, essendo sufficiente che siano state esaminate e ragionevolmente ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano regolatore o della sua variante (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 1 marzo 2010, nr. 1182; id., 29 dicembre 2009, nr. 9006; id., 18 giugno 2009, nr. 4024; id., 15 dicembre 2008, nr. 6192).

A ciò aggiungasi che le scelte urbanistiche, connotate da un’amplissima discrezionalità, non necessitano, secondo un consolidato principio giurisprudenziale, di specifica e puntuale motivazione, potendo questa ricavarsi dai principi generali di impostazione dello strumento urbanistico (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 2009, nr. 1214; id., 21 giugno 2006, nr. 3400).

Di conseguenza, deve ritenersi del tutto legittimo il rigetto delle osservazioni motivato per relationem alla relazione geologica - che nel caso di specie, peraltro, non si appalesa manifestamente erronea o irragionevole -, non essendo l’Amministrazione tenuta a porre a confronto le conclusioni di tale relazione con quelle della diversa relazione tecnica prodotta dalla società istante, né tanto meno a spiegare le ragioni che l’abbiano condotta a propendere per la condivisione delle prime, anziché delle seconde.

5. Palesemente infondato è anche il terzo motivo, con il quale parte appellante si duole per l’omessa pronuncia, da parte del giudice di prime cure, relativamente alla censura attinente alla “irragionevolezza di tutti i vincoli infrastrutturali che erano stati imposti al fondo in ragione della prevista edificabilità ed espansione turistica del territorio in questione” e che si appalesavano “illogici ed inutilmente vessatori”.

Innanzi tutto, va rilevato come tale censura riguardi il merito delle valutazioni discrezionali rimesse al Comune nell’esercizio della propria potestà pianificatoria, in relazione alla quale il pacifico orientamento giurisprudenziale già sopra richiamato riconosce in capo all’Amministrazione una ampia potestà discrezionale, senza necessità di motivazione specifica delle scelte adottate in ordine alla destinazione delle singole aree, in quanto le stesse trovano giustificazione nei criteri generali seguiti nell’impostazione del Piano (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 aprile 2009, nr. 2630; Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 2009, nr. 1149), con la conseguenza che tali scelte possono essere censurate soltanto in presenza di evidenti vizi logico-giuridici nel quadro delle linee portanti della pianificazione, che, in concreto, non si rinvengono, né nella specie sono state rappresentate con il taglio predetto dalla parte ricorrente

In secondo luogo, il motivo va respinto perché contraddice il noto e consolidato indirizzo giurisprudenziale per cui le scelte de quibus non necessitano di una particolare motivazione che tenga conto delle ragioni del proprietario del suolo, salvi i casi di aspettative qualificate. E nella fattispecie per cui è causa non appaiono sussistenti i presupposti per poter ravvisare in capo all’odierna appellante quella situazione di aspettativa qualificata, dalla quale solo discenderebbe un dovere di una più analitica motivazione dell’Amministrazione.

Inoltre, come è stato più volte chiarito da questo Consesso, l’esistenza di una precedente diversa previsione urbanistica non comporta per l’amministrazione la necessità di fornire particolari spiegazioni sulle ragioni delle diverse scelte operate, anche quando queste sono nettamente peggiorative per i proprietari (e per le loro aspettative), dovendosi (in tali altri casi) dare prevalente rilievo all’interesse pubblico che le nuove scelte pianificatorie intendono perseguire (cfr., explurimis, Cons. Stato, Ad. Plen., 22 dicembre 1999, nr. 24; Cons. Stato, sez. III, 6 ottobre 2009, nr. 1610; Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 2009, nr. 1149; Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2007, nr. 1784).

6. In conclusione, stante la totale inconsistenza dei motivi di gravame, l’appello deve essere respinto, con l’integrale conferma della sentenza di primo grado.

7. Alla soccombenza segue la condanna alle spese di giudizio, che vengono equitativamente liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna la appellante al pagamento, in favore del Comune di Melendugno, delle spese del presente grado del giudizio, che liquida in complessivi euro 3000,00, oltre agli accessori e alle competenze di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2012 con l’intervento dei magistrati:

 

 

Paolo Numerico, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Raffaele Potenza, Consigliere

Guido Romano, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/05/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

 

Autore/Fonte: www.giustizia-amministrativa.it AVVOCATO NARDELLI (STUDIO LEGALE NARDELLI)         

 

 

 
 

 

 


Autore / Fonte: WWW.GIUSTIZIA-AMMINISTRATIVA.IT

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