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14 MAGGIO 2012 - CONSIGLIO DI STATO SEZIONE QUINTA - NR.2743 DEL 14 MAGGIO 2012

PROCESSO AMMINISTRATIVO - TEMPESTIVITA' DEL RICORSO - NOTIFICA DEL PROVVEDIMENTO LESIVO - FA FEDE LA DATA DI RICEZIONE INDICATA SULLA COPIA DEL NOTIFICATARIO

 

 

N. 02743/2012REG.PROV.COLL.

N. 01663/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1663 del 2002, proposto da:
Colonna Mario, Colonna Costantino e Colonna Angela, rappresentati e difesi dall'avv. Raffaele Guido Rodio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giorgio Recchia, in Roma, corso Trieste, n. 88;

contro

Comune di Grumo Appula, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Felice Eugenio Lorusso, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Cola di Rienzo, n. 271;

nei confronti di

Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Puglia – Bari, Sezione II, n. 04826/2001, resa tra le parti, concernente:

quanto al ricorso n. 2996/2005, la richiesta di annullamento della delibera di consiglio comunale n.81 del 3.8.1995, con la quale è stata adottata la variante al P.d.F. per la formazione del PIP di Mellito, nonché di ogni altro atto connesso, presupposto o conseguente ed in particolare delle delibere n. 52 del 3.8.1994, n. 68 e 69 del 14.12.1994, n. 108 del 20.2.1995, e n. 109 del 20.2.1995.

quanto al ricorso n. 2505/1996, la richiesta di annullamento della deliberazione di Giunta Regionale n. 972 del 27.3.1996, con la quale è stata approvata la variante al P.d.F.del Comune di Grumo Appula per il reperimento di aree PIP, nonché di ogni atto connesso, presupposto o conseguente ed in particolare delle delibere n. 119 del 29.11.1995 (con la quale è stato approvato definitivamente il PIP), n. 52 del 3.8.1994, n. 68 e 69 del 17.10.1994, n. 1125 del 14.12.1994, n. 108 del 20.2.1995 e n. 109 del 20.2.1995.

quanto al ricorso n. 3115/1997, la richiesta di annullamento della delibera di consiglio comunale n. 36 del 8.5.1997, con la quale è stato modificato il quadro economico contenuto nella tavola 14 per la parte relativa alla previsione di una riduzione del costo delle aree oggetto di esproprio, con conseguente riadozione del piano particolareggiato del PIP industriale in località Mellito.

Quanto al ricorso n. 2294/2000, la richiesta di annullamento del decreto di occupazione temporanea d’urgenza n. 4 del 19.7.2000, con il quale è stata disposta l’occupazione delle aree di proprietà dei ricorrenti, nonché di ogni atto presupposto, connesso e conseguente ed in particolare del decreto di autorizzazione di immissione in possesso e del relativo avviso, delle delibere del consiglio comunale n. 7 del 15.2.1999 e n. 49 del 14.4.1999; delle delibere della G.M. n. 210 del 13.6.2000 e n. 235 del 4.7.2000.

quanto al ricorso n. 790/2001, la richiesta di annullamento del decreto definitivo di espropriazione n. 2 del 31.01.2001, con il quale è stata pronunciata l’espropriazione ed autorizzata l’occupazione permanente degli immobili di proprietà dei ricorrenti

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Grumo Appula;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Vista la propria ordinanza 9 aprile 2002 n. 1316;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2012 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti l’avvocato Sergio Della Rocca, su delega dell'avv. Raffaele Guido Rodio, nonché l’avvocato Giovanni Vittorio Nardelli, su delega dell'avv. Felice Eugenio Lorusso;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 


 

FATTO

Con il ricorso in appello in esame i sigg.ri Mario Colonna, Costantino Colonna e Angela Colonna hanno chiesto l’annullamento o la riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale era stato dichiarato irricevibile il ricorso n. 3135/1997 e respinti tutti gli altri sopra citati.

A sostegno del gravame sono stati proposti i seguenti motivi:

1.- Con riguardo ai ricorsi di primo grado n. 2996/1995 e 2505/1996:

1.1.- Sul primo ed il secondo motivo del ricorso n. 2996/1995 e sui primi tre motivi del ricorso n. 2505/1996.

Il T.A.R. ha ritenuto infondate le censure formulate dai ricorrenti nell’erroneo presupposto della inapplicabilità al caso di specie degli artt. 19, 20, 21 e 35 della l.r. n. 56/1980.

1.2.- Sul quarto motivo del ricorso di primo grado n. 2996/1995 e sul quinto motivo del ricorso n. 2505/1996.

Il T.A.R. ha ritenuto infondate le censure rivolte alle delibere di adozione ed approvazione della variante al P.d.F. (deducenti difetto di motivazione ed istruttoria per violazione dell’art. 27 della l. n. 865/1971 e per eccesso di potere) nell’erroneo presupposto che la relazione tecnica allegata alla variante del P.d.F. fosse idonea a soddisfare l’obbligo di motivazione ed istruttoria.

1.3.- sul terzo motivo del ricorso n. 2996/199 e sul quarto motivo del ricorso n. 2505/1996.

Il T.A.R. ha erroneamente ritenuto che la circostanza che il Comune già nell’anno 1979 avesse adottato una variante al P.d.F. e che fosse dotato di un P.I.P. di più modeste dimensioni rimasto inattuato non sarebbe sintomo di irragionevolezza della scelta di adottare un altro P.I.P..

2.- In ordine alla reiezione del ricorso n. 3115/1997:

2.1.- Sulla reiezione del ricorso per irricevibilità:

I Giudice di prime cure ha erroneamente ritenuto detto ricorso irricevibile perché notificato oltre i termini decadenziali.

3.- In ordine alla reiezione del ricorso n. 2294/2000.

3.1.- Il Giudice di primo grado ha erroneamente dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, con il quale era stata dedotta la illegittimità del decreto di occupazione temporanea di urgenza n. 4/2000 per violazione dell'art. 13 della l. n. 2359/1865, perché sarebbe stato dedotto un presunto vizio di illegittimità relativo alla dichiarazione implicita di pubblica utilità, cioè della deliberazione n. 36/1997, tardivamente.

3.2.- Errata sarebbe la decisione del primo Giudice di respingere il secondo motivo di gravame, con cui era stata dedotta violazione dell’art. 20 della l. n. 865/1971, per omessa motivazione del periodo di tempo effettivo entro il quale, nell’arco di cinque anni, la occupazione doveva protrarsi.

3.3.- Incondivisibile sarebbe la decisione del T.A.R. di dichiarare infondato il motivo con il quale era stato dedotto che il termine massimo della occupazione era stato fissato oltre i cinque anni stabiliti dalla legge.

3.4.- Il Giudice di prime cure ha ritenuto infondata la censura di violazione dell’art. 3 della l. n. 1/1978, per essere stati illegittimamente adottati il decreto di occupazione e l’avviso di immissione in possesso in momenti successivi a quelli in cui era avvenuta la redazione dello stato di consistenza, nell’incondivisibile assunto che non fosse applicabile al caso di specie detta norma, ma l’art. 71 della l. n. 2359/1865.

3.5.- La censura di illegittimità del decreto di occupazione di urgenza e del successivo avviso di immissione in possesso, per incompetenza a seguito di irregolare investitura dell’organo emanante i provvedimenti (la Giunta municipale invece che il Sindaco) è stata ritenuta infondata dal T.A.R. nell’incondivisibile assunto che con decreto del 3.8.1998 il Sindaco aveva conferito al funzionario posto al vertice del servizio tecnico le funzioni di cui all’art. 51, comma 3, della l. n. 142/1990.

3.6.- Il Giudice di primo grado ha omesso di pronunciarsi su punti decisivi dell’impugnazione, come le censure di illegittimità formulate con il sesto motivo del ricorso n. 2294/2000 e con punti B I), C II) e C III dei motivi aggiunti, che non possono ritenersi assorbiti dalle pronunce di inammissibilità ed infondatezza rese dal suddetto.

4.- In ordine alla reiezione del ricorso n. 790/2001:

4.1.- Il T.A.R. ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, con il quale era stata dedotta la illegittimità del decreto di esproprio in via derivata dalla più generale illegittimità inficiante l’intera procedura ablativa per mancata fissazione dei termini ex art. 13 della l. n. 2359/1865, nell’assunto che la irricevibilità per tardività del ricorso proposto contro la dichiarazione implicita di pubblica utilità avverso la deliberazione n. 36/1997.

Al riguardo è stato rinviato a quanto già dedotto al punto 4.1.-.

4.2.- E’ ingiusta la sentenza impugnata per aver dichiarato la inammissibilità del motivo con cui era stata denunciata la illegittimità del decreto di esproprio nella parte relativa alla determinazione della indennità, atteso che al G.O. spetta solo la giurisdizione sulla domanda con cui è fatto valere il diritto all’indennità, mentre il G.A. è deputato a verificare la lesione dell’interesse legittimo della parte alla regolarità dell’azione amministrativa.

4.3.- Il Giudice di prime cure ha erroneamente dichiarato infondate le censure formulate con gli ultimi due motivi di ricorso perché ripropongono motivi già dichiarati infondati.

Con atto depositato il 25.3.2002 si è costituito in giudizio il Comune di Grumo Appula, che ha ribadito le eccezioni di inammissibilità e di improcedibilità dei ricorsi n. 2996/1995 e 2505/1996 (per sopravvenuta carenza di interesse, essendo stati adottati gli atti conclusivi del procedimento) ed ha eccepito la inammissibilità dell’appello, nonché ne ha dedotto la infondatezza, concludendo per la reiezione.

Con ordinanza 9 aprile 2002 n. 1316 la Sezione ha respinto la istanza di sospensione della sentenza impugnata, a condizione che venissero salvaguardate le aree pertinenziali della abitazione degli appellanti.

Con memoria depositata l’8.4.2002 le parti appellanti hanno eccepito la infondatezza delle eccezioni di inammissibilità e di improcedibilità formulate da controparte ed hanno ribadito tesi e richieste.

Con memoria notificata il 13.12.2010 il Comune di Grumo Appula ha chiesto che la Sezione voglia puntualizzare natura ed effetti della ordinanza cautelare a suo tempo pronunciata, nel senso della esclusione della salvaguardia delle aree pertinenziali della proprietà degli appellanti, non più necessaria, ovvero della sua delimitazione alle parti indispensabili a tutelare gli interessi dei ricorrenti, con “liberazione” da pesi e vincoli della viabilità del P.I.P..

Con memoria depositata il 16.12.2011 gli appellanti hanno dedotto la infondatezza di detta istanza ed hanno ribadito tesi e richieste.

Con memoria depositata il 2.1.2012 l’Amministrazione resistente ha eccepito che la accettazione della indennità di esproprio da parte degli appellanti comporta rinuncia alla pretesa dedotta in giudizio e l’improcedibilità dell'appello per sopravvenuto difetto di interesse; inoltre ha dedotto che, essendo state espropriate solo le particelle nn. 272, 273 e 274 di proprietà degli appellanti, non sussiste interesse all’annullamento degli atti impugnati nella parte relativa alle altre particelle di loro proprietà; inoltre ha ribadito tesi e richieste.

Alla pubblica udienza del 24.1.2012 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta di annullamento e riforma, formulata da i sigg.ri Mario Colonna, Costatino Colonna e Angela Colonna, di annullamento della sentenza del T.A.R. in epigrafe specificata, con la quale è stato dichiarato irricevibile il ricorso n. 3135/1997 e respinti tutti gli altri in epigrafe indicati.

2.- Innanzi tutto la Sezione ritiene incondivisibile la eccezione di improcedibilità dell’appello formulata dalla difesa del resistente Comune nell’assunto che la accettazione della indennità di esproprio da parte degli appellanti ha comportato rinuncia alla pretesa dedotta in giudizio.

Invero l’accettazione dell'indennità di esproprio non esclude l'interesse a far riscontrare le eventuali illegittimità del procedimento di espropriazione ed occupazione d'urgenza, in vista anche del maggior ristoro che il privato può ottenere a titolo risarcitorio dell'accertata illiceità conseguente all'annullamento degli atti di sottrazione del bene (Consiglio Stato, sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5774).

3.- Per le stesse considerazioni sopra indicate non può essere condivisa la ulteriore eccezione formulata dalla difesa comunale che, essendo state espropriate solo le particelle nn. 272, 273 e 274 di proprietà degli appellanti, non sussiste interesse all’annullamento degli atti impugnati nella parte relativa alle altre particelle di loro proprietà, essendo comunque risarcibile il danno da violazione di interesse legittimo.

4.- Con riguardo alle censure riguardanti i ricorsi di primo grado n. 2996/1995 e 2505/1996 la Sezione osserva quanto segue:

4.1.- In relazione al primo ed al secondo motivo del ricorso n. 2996/1995 e ai primi tre motivi del ricorso n. 2505/1996 con l’appello è stato dedotto che il T.A.R. ha ritenuto infondate le censure formulate dai ricorrenti nell’erroneo presupposto della inapplicabilità al caso di specie degli artt. 19, 20, 21 e 35 della l.r. n. 56/1980 perché, trattandosi di variante a piano di fabbricazione per reperire aree destinate ad insediamenti produttivi, la fattispecie era disciplinata dall’art. 55, comma 2, di detta l.r., secondo il quale nei Comuni sprovvisti di P.R.G. le varianti ai P.d.F. vanno adottate con il procedimento delle leggi statali.

Ma detto art. 55 sarebbe norma di carattere transitorio, la cui ratio consiste nell’esigenza di consentire che, in attesa di ottemperare all’obbligo di dotarsi di un P.R.G. nel biennio successivo alla entrata in vigore di detta l.r., i Comuni sprovvisti di P.R.G. adottino varianti agli strumenti urbanistici vigenti, sicché la sua efficacia perdura solo fino al decorso del biennio dalla entrata in vigore della l.r. di cui all’art. 55, comma 2, citato, assegnato ai Comuni per dotarsi del Piano suddetto.

La norma sarebbe stata quindi inapplicabile al caso di specie perché la variante apportata al P.d.F. dal Comune è intervenuta con deliberazione consiliare n. 81/1995, oltre il biennio dalla entrata in vigore di detta l.r..

4.1.1.- La Sezione - posto che il dovere (previsto dall’art. 55 della l.r. Puglia n. 56/1980 se il Comune non è dotato di P.R.G., ma di P.d.F.) di adottare le varianti al P.d.F. con il procedimento delle leggi statali fino all’approvazione del P.R.G., ha certamente carattere transitorio - ritiene che esso dovere non possa di certo considerarsi limitato rigidamente solo al lasso di tempo di due anni entro il quale i Comuni devono dotarsi, in base al comma 1, dell’articolo 55 suddetto, di P.R.G., non potendo tale disposizione che essere interpretabile nel senso che perdura la sua efficacia per tutto il tempo necessario per portare a termine la procedura, se già iniziata.

Infatti, decorso detto biennio, non può, per i principi di logicità, economicità e buon andamento che devono caratterizzare l’operato della P.A., cessare il dovere e la possibilità per il Comune di dotarsi di un P.R.G. per la cui approvazione la procedura sia già stata avviata (operazione complessa che può richiedere un lasso temporale maggiore), anche se, ai sensi del comma 3 del ridetto art. 55, la Giunta Regionale, decorso tale termine e previa diffida a provvedere nel termine di 60 giorni, è tenuta a sostituirsi ai Comuni per l'osservanza degli obblighi di legge, con possibilità di nomina a tal fine un commissario ad acta. Decorso detto biennio deve ritenersi che solo in caso di definitiva interruzione del procedimento già avviato da parte del Comune (e non è il caso di specie) subentrino i poteri sostitutivi della Regione.

La circostanza che la variante apportata al P.d.F. del Comune fosse stata approvata con deliberazione intervenuta dopo un biennio dalla entrata in vigore della l.r. n. 56/1980, è quindi del tutto ininfluente con riguardo alla perdurante adottabilità della variante stessa con la già avviata procedura delle leggi statali ed il motivo in esame non può essere condiviso.

4.2.- Deduce ulteriormente l’atto di appello che, con riguardo al quarto motivo del ricorso di primo grado n. 2996/1995 e al quinto motivo del ricorso n. 2505/1996, il T.A.R. ha ritenuto infondate le censure rivolte alle delibere di adozione ed approvazione della variante al P.d.F. (deducenti difetto di motivazione ed istruttoria per violazione dell’art. 27 della l. n. 865/1971 e per eccesso di potere) nell’erroneo presupposto che la relazione tecnica allegata alla variante del P.d.F. fosse idonea a soddisfare l’obbligo di motivazione ed istruttoria, atteso che era stata adottata in funzione della successiva adozione di un P.I.P. che troverebbe in detta relazione giustificazione, sia sotto il profilo economico che quello urbanistico.

Ma dall’esame di detta relazione si evincerebbe solo che l’Amministrazione ha compiuto l’acquisizione e l’analisi solamente dei dati relativi all’andamento demografico del Comune, con previsioni meramente probabilistiche, mentre la possibilità di dotarsi del Piano postulerebbe una previsione di incremento produttivo futuro non desumibile solo dall’andamento demografico precedente e dalle preferenze dimostrate in tale periodo dagli operatori economici, dovendosi valutare il dato storico nel contesto nazionale e nell’ambito della previsione di future congiunture economiche.

Né potrebbe concordarsi con il Giudice di prime cure, laddove ha ritenuto che la variante sarebbe da considerarsi congruamente motivata perché ha interessato solo aree “nude”, senza interessare il fabbricato e le aree pertinenziali.

4.2.1.- Osserva la riguardo la Sezione che il T.A.R. ha dato opportunamente atto che la validità e la opportunità della iniziativa avevano trovato riscontro nella valutazione della situazione economica locale e della possibilità concreta di sviluppo produttivo della zona, nonché nell’accertamento della entità della domanda, mediante indagine conoscitiva degli interessi alla realizzazione di attività produttive nella zona interessata.

Dette acquisizioni appaiono al Collegio idonee a costituire idonea motivazione della scelta effettuata, apparendo del tutto inutile la prospettata necessità di valutazione di detti dati, oltre che con riferimento alle finalità di sviluppo della zona in questione, anche nel contesto nazionale ed essendo del tutto aleatoria e quindi inutile la previsione di future congiunture economiche cui rapportare dette valutazioni.

La censura in esame non può quindi essere favorevolmente apprezzata.

4.3.- Il motivo di appello, con riferimento al terzo motivo del ricorso n. 2996/199 e al quarto motivo del ricorso n. 2505/1996, deduce che il T.A.R. ha ritenuto che la circostanza che il Comune già nell’anno 1979 avesse adottato una variante al P.d.F. e che fosse dotato di un P.I.P. di più modeste dimensioni rimasto inattuato non sarebbe sintomo di irragionevolezza della scelta di adottare un altro P.I.P., nell’erronea considerazione che il precedente, relativo ad area prossima all’abitato e di ridotte dimensioni, era a vocazione artigianale ed il nuovo a vocazione industriale.

Tuttavia non era stata censurata la determinazione di adottare un P.I.P. a vocazione industriale invece che a vocazione artigianale, ma solo la decisione di adottare un P.I.P. di dimensioni molto più ampie rispetto a quello adottato in precedenza e rimasto inattuato.

4.3.1.- Il Collegio ritiene incondivisibile tale censura, atteso che la decisione di adottare un P.I.P. di dimensioni più ampie di quello precedente, rimasto inattuato, appare pienamente logica, atteso che proprio le ridotte dimensioni della zona destinata a P.I.P. in precedenza potevano aver comportato la inattuabilità dello stesso, con conseguente opportunità di ridimensionarlo in zona diversa, più vasta e più adatta.

5.- Con ulteriore motivo di appello, in ordine alla reiezione del ricorso n. 3115/1997, è stato dedotto, in merito alla ritenuta sua irricevibilità, che il Giudice di prime cure ha ritenuto detto ricorso tardivamente proposto perché notificato oltre i termini decadenziali, esistendo una discordanza tra la data di notifica (8.7.1997) delle copie della deliberazione impugnata depositate in giudizio dal Comune, rispetto a quella risultante dalla deliberazione notificata alla ricorrente sig. Angela Colonna Rosa (8.8.1997) e tenuto conto che essa non aveva impugnato per falso i documenti depositati in copia conforme dal Comune.

La discordanza può essere tuttavia dovuta o alla circostanza che la prima notifica non è giunta a compimento e che la deliberazione è stata notificata in due distinti momenti, oppure al fatto che, pur essendo stata effettuata un’unica notifica dell’atto, l’ufficiale giudiziario ha errato nel redigere la copia rilasciata al destinatario e gli originali consegnati all’Amministrazione; comunque in entrambe le ipotesi sarebbe la data risultante sulla copia rilasciata al destinatario che segna l’inizio della decorrenza del termine per l’impugnazione dell'atto notificato, essendo comunque, sia essa che l’originale, atti pubblici aventi la medesima efficacia probatoria e dovendosi garantire l’affidamento sull’atto ricevuto.

Nel caso in esame, avendo gli appellanti esibito in primo grado la copia dell’atto notificato alla sig.ra Angela Rosa Colonna in data 8.8.1997 avrebbero adempiuto all’unico incombente probatorio a carico del ricevente, sicché la notifica e l’onere di impugnarla per falso spettava al Comune e non ai ricorrenti; in assenza di essa impugnazione sarebbe stato da considerare tempestivamente notificato il ricorso in data 4.11.1997, entro 60 giorni dalla data di notifica dell’8.8.1997.

5.1.- Osserva al riguardo il Collegio che effettivamente, ai fini della validità della notifica, in caso di contrasto tra i dati risultanti dalla copia di relata allegata all'originale e i dati risultanti dalla copia consegnata al destinatario, occorre far riferimento alle risultanze ricavabili dalla copia in possesso del destinatario (Cassazione civile sez. lav. 25 febbraio 2004 n. 3767), perché è su questa che la parte citata regola il proprio comportamento processuale (Cassazione civile, sez. II, 11 febbraio 2008, n. 3205), senza che sia necessario per disattendere esse risultanze la presentazione di querela di falso, indispensabile per eliminare la piena prova che le diverse attestazioni contenute nella copia e nell'originale rispettivamente fanno per ciascuno degli interessati (Cassazione civile, sez. II, 31 luglio 2007, n. 16885).

Pur essendo basato su detti condivisibili principi, deve tuttavia osservarsi che il motivo in esame, nella sua restante parte, non ha effettuato alcun richiamo alle censure di primo grado formulate con il ricorso di cui trattasi, dichiarato irricevibile per tardività dal T.A.R..

Il gravame per questa parte risulta quindi inammissibile, poiché per la giurisprudenza di questo Consiglio, che il Collegio condivide e fa propria, l'originario ricorrente ha l'onere di riproporre le censure di primo grado, senza poterle neppure genericamente richiamare (Consiglio Stato, sez. V, 28 marzo 2007, n. 1446), come ora confermato dall’art. 101, comma 1, del c.p.a..

L'appellante non ha assolto a tale onere e ciò comporta che, anche se è fondata la censura relativa alla statuizione del TAR sulla tardività del ricorso di primo grado, i motivi con esso formulati non potrebbero essere esaminati.

Anche il motivo di appello in esame non è quindi suscettibile di positiva valutazione; tanto comporta la inutilità della disamina delle eccezioni di inammissibilità e di improcedibilità di detto ricorso nuovamente formulate in appello dalla difesa comunale.

6.- In ordine alle censure relative al ricorso di primo grado n. 2294/2000 la Sezione osserva quanto segue:

6.1.- Con ulteriore motivo di appello è stato dedotto in primo luogo che il Giudice di prime cure avrebbe erroneamente dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, con il quale era stata dedotta la illegittimità del decreto di occupazione temporanea di urgenza n. 4/2000 per violazione dell'art. 13 della l. n. 2359/1865, perché sarebbe stato dedotto un presunto vizio di illegittimità relativo alla dichiarazione implicita di pubblica utilità, cioè della deliberazione n. 36/1997, tardivamente.

Ribadito quanto rilevato con riguardo alla tardività del ricorso n. 3115/1997, gli appellanti hanno dedotto che comunque né in esso provvedimento (come dovuto, essendo il primo atto della procedura), né in alcuno di quelli intervenuti nella procedura ablativa, erano stabiliti i termini di inizio e di ultimazione dei lavori e di espropriazione.

6.1.1.- La Sezione non può prestare assenso alla censura sopra indicata, atteso che detti termini dovevano essere fissati nel provvedimento con il quale l’opera era stata dichiarata di pubblica utilità, cioè la deliberazione del C.C. n. 36/1997 di approvazione del P.I.P., contenente implicita dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle relative opere.

Detta deliberazione è stata impugnata in primo grado con il ricorso n. 3115/1997, senza che fosse stata formulata tale censura e comunque, non essendo state riproposte in appello le censure con esso ricorso formulate, esse si hanno per rinunciate.

Tardivamente quindi la censura in esame è stata proposta con il successivo ricorso n. 2294/2000, proponendo censure che avrebbero dovuto essere tempestivamente proposte contro la deliberazione del C.C. n. 36/1997, già conosciuta da epoca eccedente i termini di decadenza ed impugnata, e condivisibilmente il T.A.R. ne ha dichiarato la inammissibilità.

6.2.- Prosegue il motivo di appello in esame deducendo che errata sarebbe la decisione del primo Giudice di respingere il secondo motivo di gravame, con cui era stata dedotta violazione dell’art. 20 della l. n. 865/1971, per omessa motivazione riguardo al periodo di tempo effettivo entro il quale, nell’arco di cinque anni, la occupazione doveva protrarsi, nell’assunto che, trattandosi di scelta latamente discrezionale, non necessitava di motivazione.

Invero latamente discrezionale sarebbe la fissazione del termine quinquennale o minore, non già l’omissione di una precisa indicazione al riguardo.

6.2.1.- La Sezione non può condividere detto motivo di gravame, atteso che la lata discrezionalità in ordine alla fissazione della durata della occupazione d’urgenza dell’immobile non può che essere riferita sia alla durata complessiva della stessa, che a quella effettivamente prevista, senza necessità di specifica e puntuale motivazione al riguardo.

La mancata indicazione della durata dell'occupazione non è infatti vizio di illegittimità del decreto, in quanto l'art. 22 bis, del d.P.R. n. 327 del 2001 non considera elemento costitutivo del decreto di occupazione l'indicazione del termine di durata, fissando direttamente un termine massimo di efficacia coincidente con quello della dichiarazione di p.u. (Consiglio Stato, sez. VI, 12 gennaio 2011, n. 114).

6.3.- Deducono ulteriormente le parti appellanti che incondivisibile sarebbe la decisione del T.A.R. di dichiarare infondato il motivo, con il quale era stato dedotto che il termine massimo della occupazione era stato fissato oltre i cinque anni stabiliti dalla legge, nell’assunto che il termine dei cinque anni decorreva dalla effettiva occupazione, atteso che esso, in effetti, decorre dal giorno dell’emanazione del decreto che la autorizza.

6.3.1.- Osserva la Sezione che in tema di espropriazione per pubblica utilità, la decorrenza del periodo di occupazione legittima inizia non già dal giorno della dichiarazione di p.u. dell'eseguenda opera pubblica (che non comporta, di per sè, la necessità dell'occupazione d'urgenza del fondo ad essa asservito), ma dal giorno dell'emanazione, ex art. 71 della legge n. 2359 del 1865, del decreto autorizzativo, se immediatamente operativo nei confronti dell'occupante, con conseguente, contestuale compressione della facoltà dell'occupato (Cassazione civile, sez. I, 25 marzo 2003, n. 4358).

Nel caso che occupa l’art. 3 del decreto di occupazione di urgenza prevedeva che “l’occupazione dovrà aver luogo entro tre mesi dalla data del presente decreto e non potrà protrarsi otre cinque anni dalla data di effettiva occupazione”.

Il decreto non era quindi immediatamente operativo all’atto della emanazione dello stesso, essendo la concreta operatività condizionata alla effettiva occupazione entro tre mesi, sicché i cinque anni decorrevano da tale data e non poteva comunque concretamente protrarsi l’occupazione oltre il termine quinquennale.

La censura non può quindi essere assentita.

6.4.- Secondo il motivo in esame il Giudice di prime cure ha ritenuto infondata la censura di violazione dell’art. 3 della l. n. 1/1978, per essere stati adottati il decreto di occupazione e l’avviso di immissione in possesso illegittimamente in momenti successivi a quelli in cui era avvenuta la redazione dello stato di consistenza, nell’incondivisibile assunto che non fosse applicabile al caso di specie detta norma, ma l’art. 71 della l. n. 2359/1865, per il quale la redazione dello stato di consistenza deve precedere l’adozione del decreto di occupazione di urgenza.

Tuttavia nell’occupazione di urgenza disposta ai sensi dell’art. 3 della l. n. 1/1978 in tema di edilizia residenziale pubblica la redazione dello stato di consistenza è successiva o contestuale alle operazioni di immissione in possesso.

6.4.1.- Osserva la Sezione che il principio generale della previetà della redazione dello stato di consistenza rispetto alla adozione del decreto di occupazione di urgenza stabilito dall’art. 71 della l. n. 2359/1865 è derogato esclusivamente per le opere propriamente pubbliche in base all’art. 3 della l. n. 1/1978, che non è quindi applicabile alle procedure volte alla espropriazione di aree destinate ad interventi attuativi di Piani o Programmi.

Correttamente quindi il Giudice di prime cure ha ritenuto applicabile alla fattispecie, in esame all’attuazione del P.I.P. di cui trattasi per la realizzazione da parte di soggetti privati di interventi industriali ed artigianali.

La censura non è quindi fondata.

6.5.- Prosegue il motivo deducendo che la censura di illegittimità del decreto di occupazione di urgenza e del successivo avviso di immissione in possesso per incompetenza, a seguito di irregolare investitura dell’organo emanante i provvedimenti, cioè la Giunta municipale invece che il Sindaco (con violazione dell’art. 51 comma 3 bis, della l. n. 142/1990, come modificata dalla l. n. 127/1997), è stata ritenuta infondata dal T.A.R. nell’assunto che con decreto del 3.8.1998, il Sindaco ha conferito funzionario posto al vertice del servizio tecnico le funzioni di cui all’art. 51, comma 3, della l. n. 142/1990, come modificato dall’art. 6, comma 2, della l. n. 127/1997.

Ma la Giunta municipale ha riconosciuto a detto funzionario la titolarità e l’esercizio del potere in virtù dell’art. 3, comma 2, del d. lgs. n. 80/1998, mentre avrebbe al più potuto riconoscere l’esercizio di dette funzioni (già attribuite con decreto sindacale).

6.5.1.- La censura è, ad avviso della Sezione, non condivisibile, atteso che al citato funzionario con decreto sindacale del 3.8.1998 sono state attribuite le funzioni di cui all’art. 51, comma 3, della l. n. 142/1990 e non è stato violato l’art. 51, comma 3 bis di detta l. n. 142/1990, come in seguito modificato, che stabilisce che “Nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui al comma 3, fatta salva l'applicazione del comma 68, lettera c), dell'art. 17 della legge 15 maggio 1997, n. 127, possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione”.

La validità del decreto sindacale di attribuzione delle funzioni di cui trattasi esclude invero che il conferimento possa essere viziato da diverse locuzioni poi usate al riguardo dalla Giunta Comunale.

6.6.- Infine, secondo il motivo in esame, il Giudice di primo grado ha omesso di pronunciarsi su punti decisivi dell’impugnazione, come le censure di illegittimità formulate con il sesto motivo del ricorso n. 2294/2000 e ai punti B I), C II) e C III dei motivi aggiunti, che non possono ritenersi assorbiti dalle pronunce di inammissibilità ed infondatezza rese dal suddetto.

6.6.1.- La Sezione al riguardo ritiene infondata la censura di cui al sesto motivo del ricorso di primo grado n. 2294/2000, con il quale era stato dedotto che dalla planimetria del piano particellare allegato al decreto di occupazione di urgenza risulterebbe che alcune aree sarebbero rimaste senza possibilità di accesso e altre inutilizzabili a seguito del frazionamento.

Infatti dette censure avrebbero dovuto essere formulate a seguito della redazione dello stato di consistenza e comunque esse sono da considerare, otre che solo genericamente riproposte in appello, incondivisibili, non potendo tali marginali circostanze rendere illegittimo il decreto di occupazione di urgenza.

6.6.2.- Priva di apprezzabilità è la censura di cui al punto B) 1) dei motivi aggiunti atteso che la censura di omessa notifica ai proprietari degli immobili ex art. 21 della l.r. n. 56/1980 della variante al P.I.P. è generica ed indimostrata.

6.6.3.- Non condivisibile è anche la censura, formulata con il motivo C) II dei motivi aggiunti al ricorso di primo grado sopra citato, non potendo costituire vizio degli atti impugnati la mancata ottemperanza dell’Amministrazione all’ordine di esibizione di documentazione formulato dal Giudice.

6.6.4.- Neppure può trovare consenso la censura di cui a punto C) III) dei motivi aggiunti al ridetto ricorso, secondo il quale le operazioni di occupazione avrebbero dovuto essere effettuate entro il 4 ottobre mentre le operazioni di immissione in possesso sono state effettuate per il 13 ottobre, con superamento del termine trimestrale di efficacia del provvedimento.

Il termine trimestrale entro cui procedere alla occupazione di urgenza decorre infatti dalla data di emanazione del decreto prefettizio e non dalla deliberazione di autorizzazione all’occupazione di urgenza ed il termine appare rispettato nel caso di specie con riferimento al provvedimento del Prefetto.

7.- In ordine alla impugnazione del ricorso di primo grado n. 790/2001 la Sezione osserva quanto segue:

7.1.- Con l’ultimo motivo di appello è stato dedotto innanzi tutto che il T.A.R. ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, con il quale era stata dedotta la illegittimità del decreto di esproprio in via derivata dalla più generale illegittimità inficiante l’intera procedura ablativa per mancata fissazione dei termini ex art. 13 della l. n. 2359/1865, nell’assunto che tanto conseguiva alla irricevibilità per tardività del ricorso proposto contro la dichiarazione implicita di pubblica utilità avverso la deliberazione n. 36/1997.

Al riguardo è stato rinviato a quanto già dedotto al punto 4.1.-.

7.1.1.- La censura è, secondo la Sezione, incondivisibile, atteso che, ex art. 13 della l. n. 2359/1865, la fissazione dei termini viene effettuata contestualmente alla dichiarazione di pubblica utilità e la censura in esame avrebbe dovuto essere formulata entro i termini di decadenza avverso la deliberazione del C.C. n. 36/1997 e non contro il decreto di esproprio.

7.2.- Aggiunge il motivo di gravame in esame che sarebbe ingiusta la sentenza impugnata per aver dichiarato la inammissibilità del motivo con cui era stata denunciata la illegittimità del decreto di esproprio nella parte relativa alla determinazione della indennità, atteso che al G.O. spetta solo la giurisdizione sulla domanda con cui è fatto valere il diritto all’indennità, mentre il G.A. è deputato a verificare la lesione dell’interesse legittimo della parte alla regolarità dell’azione amministrativa.

7.2.1.- La Sezione ritiene infondata la censura, atteso che la determinazione dell'indennità di esproprio esula dalla giurisdizione del G.A., ai sensi dell'art. 53, comma 3, d.P.R n. 327 del 2001: l'innovativa ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia (anche) espropriativa introdotta dall'art. 34, comma 1, d.lg. n. 80 del 1998, successivamente ripresa dall'art. 7, comma 1, l. n. 205 del 2000 e dall'art. 53, d.P.R. n. 327 del 2001, non si estende infatti alle questioni inerenti alla “determinazione ed alla corresponsione delle indennità” conseguenti ad atti di carattere ablativo, che - in quanto attinenti a diritti soggettivi perfetti - rimangono di spettanza del Giudice ordinario.

7.3.- Infine è affermato con il motivo di appello di cui trattasi che il Giudice di prime cure ha dichiarato infondate le censure formulate con gli ultimi due motivi di ricorso perché ripropongono motivi già dichiarati infondati, ma tanto sarebbe stato erroneamente disposto.

7.3.1.- La censura non è suscettibile di accoglimento, atteso che è stato confermato che i motivi posti a base dei ricorsi di cui trattasi erano effettivamente infondati.

8.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione

9.-. Nella complessità e parziale novità delle questioni trattate il Collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, co. 1, c.p.a e 92, co. 2, c.p.c., le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo respinge l’appello in esame.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2012 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Calogero Piscitello, Presidente

Francesco Caringella, Consigliere

Carlo Saltelli, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/05/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 
 

 

 

 

 

 

Autore/Fonte: www.giustizia-amministrativa.it AVVOCATO NARDELLI (STUDIO LEGALE NARDELLI)         
 

 

 


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