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06 DICEMBRE 2011 - CONSIGLIO DI STATO QUARTA SEZIONE NR.6414 DEL 06 DICEMBRE 2011

APPALTI PUBBLICI - APPALTO PER IL CONSOLIDAMENTO URGENTE E LA CONSERVAZIONE DI LAVORI RELATIVI AL TEMPIO DI ANTONINO E FAUSTINA UBICATO IN ROMA NELL'AREA ARCHEOLOGICA DEL FORO ROMANO E DEDICATO NEL 141 D.C. DALL'IMPERATORE ANTONINO IL PIO ALLA MORTE DELLA SUA ULTIMA CONSORTE FAUSTINA - PREVISIONE DEL POSSESSO DELLA CATEGORIA GENERALE  OG2 (RESTAURO E MANUTENZIONE DEI BENI IMMOBILI SOTTOPOSTI A TUTELA AI SENSI DELLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI BENI CULTURALI E AMBIENTALI) E NON DELLA CATEGORIA SPECIALE OS2 (SUPERFICI DECORATE E BENI MOBILI DI INTERESSE STORICO ED ARTISTICO ....CHE A SUA VOLTA RIGUARDA L'ESECUZIONE DEL RESTAURO, DELLA MANUTENZIONE ORDINARIA E STRAORDINARIA DI SUPERIFCI DECORATE DI BENI ARCHITETTONICI E DI BENI  MOBILI DI INTERESSE STORICO, ARTISTICO ED ARCHEOLOGICO) CON IMPOSSIBILITA' DI PARTECIPARE IN VIA ESCLUSIVA ALLA GARA PER I SOGGETTI RESTAURATORI - LEGITTIMITA' IN QUANTO L'ESCLUSIVITA' DEL RESTAURATORE VA CIRCOSCRITTA AI SOLI INTERVENTI DI CONSERVAZIONE SU BENI MOBILI O SU SUPERIFICI DECORATE DI BENI ARCHITETTONICI MA NON RIGUARDA IL CONCETTO DI SUPERFICIE GENERICAMENTE INTESO

 

. 06414/2011REG.PROV.COLL.

N. 00249/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 249 del 2011, proposto da:
Ara S.n.c. di Camiz & Farachi, Masterpiece S.r.l., Sergio Salvati S.r.l., Carla Tomasi S.r.l., Studio C.R.C. di Paolo Pastorello, Ditta Individuale Marina Maugeri, Tecnicon S.r.l., Ditta Forcellino Antonio, Impresa Arke Consorzio, Roma Consorzio, Kermes S.n.c., Consorzio L’Officina, Consorzio Kavaklik, Associazione Restauratori d’Italia, tutti in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avv. Antonio Campagnola, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Lutezia, 8;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri e Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti nelle aree archeologiche di Roma e Ostia Antica, rispettivamente in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore e del Commissario pro tempore, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; Ministero per i beni e le attività culturali;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Roma, Sez. I, n. 35332 dd. 3 dicembre 2010, resa tra le parti e concernente il bando di gara per il consolidamento delle superfici marmoree, nonché per le verifiche statiche relative alla conservazione e alla sicurezza del pubblico riguardanti il Tempio di Antonino e Faustina.

 


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti nelle aree archeologiche di Roma e Ostia Antica;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 giugno 2011 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per l’appellante l’Avv. Antonio Campagnola e per il le Amministrazioni appellate l’Avvocato dello Stato Giustina Noviello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


 

FATTO e DIRITTO

1.1. Gli attuali appellanti, nonché ricorrenti in primo grado - Ara S.n.c. di Camiz & Farachi, Masterpiece S.r.l., Sergio Salvati S.r.l., Carla Tomasi S.r.l., Studio C.R.C. di Paolo Pastorello, Ditta Individuale Marina Maugeri, Tecnicon S.r.l., Ditta Forcellino Antonio, Impresa Arke Consorzio, Roma Consorzio, Kermes Snc, Consorzio L’Officina, Consorzio Kavaklik - espongono di essere tutti restauratori e segnatamente operanti nel ramo del restauro specializzato negli interventi sulle superfici lapidee di monumenti archeologici o storici.

Essi precisano – altresì – di aderire come ditte individuali, imprese o consorzi, all’Associazione Restauratori d’Italia, parimenti ricorrente in primo grado e appellante.

Nel giudizio di primo grado gli attuali appellanti, dopo aver illustrato il contenuto della disciplina relativa agli affidamenti degli interventi di restauro (in particolare, l’art. 29 del D.L.vo 22 gennaio 2004 n. 42 , nonché le disposizioni contenute nel capo II del titolo IV del D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163), hanno pure richiamato l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 marzo 2009 n. 3747, per effetto della quale, in relazione alla dichiarazione dello stato di emergenza per eccezionali eventi meteorologici che hanno colpito tutto il territorio nazionale nei mesi di novembre – dicembre 2008, il Capo Dipartimento della Protezione Civile è stato nominato Commissario Delegato per la realizzazione degli interventi urgenti necessari per il superamento della situazione di grave pericolo in atto nelle aree archeologiche di Roma e Ostia Antica.

Gli attuali appellanti hanno – altresì – riferito che constava l’avvenuta pubblicazione di un bando del Commissario anzidetto relativo a lavori di “consolidamento urgente, verifiche statiche per la conservazione del monumento e la sicurezza del pubblico”, inerenti il Tempio di Antonino e Faustina, ubicato in Roma nell’area archeologica del Foro Romano e dedicato nel 141 d.C. dall’imperatore Antonino Pio alla morte della sua ultima consorte Faustina, che venne divinizzata.

Il Senato, dopo la morte di Antonino Pio, dedicò il tempio anche al culto di questi.

Come è ben noto, le vestigia di tale tempio costituiscono uno dei principali monumenti esistenti nel compendio dei Fori imperiali.

Esso sorge su un alto podio costituito da blocchi di tufo, in origine rivestiti in marmo ed è ad oggi accessibile per mezzo di un’alta scalinata sulla fronte ricostruita in epoca recente in mattoni.

L’edificio è costituito da una cella con pareti in blocchi di peperino che originariamente presentavano anche un rivestimento marmoreo, preceduta da un pronao esastilo, a sei colonne lisce sulla fronte e due sui lati, realizzato in pregiato marmo cipollino proveniente dall’Isola Eubea.

Il colonnato è alto ben 17 metri, presenta capitelli corinzi e sulla colonna centrale di sinistra sono presenti graffiti di statue, tra i quali quello di Ercole con il leone Nemeo.

La trabeazione è decorata da un fregio continuo con ghirlande, grifoni e strumenti sacrificali.

Al centro dell’edificio sono ancora conservati alcuni resti in laterizio dell’altare.

Gli attuali appellanti reputano che il bando anzidetto rechi un’errata definizione delle categorie di lavoro di cui all’allora vigente D.P.R. 25 gennaio 2000 n. 34, essendo stata ivi considerata la categoria generale “OG 2 - Restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela ai sensi delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali” ( “Riguarda lo svolgimento di un insieme coordinato di lavorazioni specialistiche necessarie a recuperare, conservare, consolidare, trasformare, ripristinare, ristrutturare, sottoporre a manutenzione gli immobili di interesse storico soggetti a tutela a norma delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali. Riguarda altresì la realizzazione negli immobili di impianti elettromeccanici, elettrici, telefonici ed elettronici e finiture di qualsiasi tipo nonchè di eventuali opere connesse, complementari e accessorie”: cfr. all. A al D.P.R. 34 del 2000), ma totalmente omessa la categoria specializzata “OS2 - Superfici decorate e beni mobili di interesse storico ed artistico”, (che, a sua volta, “riguarda l’esecuzione del restauro, della manutenzione ordinaria e straordinaria di superfici decorate di beni architettonici e di beni mobili, di interesse storico, artistico ed archeologico”: cfr. ibidem).

Gli attuali appellanti, riscontrando che in tal modo i restauratori di beni culturali sono stati esclusi da qualsivoglia affidamento per i lavori di cui trattasi, con preclusione di eseguire anche lavori in subappalto, hanno presentato ricorso sub R.G. 5470 del 2010 innanzi al T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, chiedendo l’annullamento del bando anzidetto.

I ricorrenti in primo grado hanno – altresì – chiesto l’annullamento di tutti gli altri atti comunque connessi, coordinati, anteriori e conseguenti al bando medesimo.

Nell’atto introduttivo di tale giudizio sono state quindi formulate le censure qui appresso descritte.

a) Incompetenza del Commissario delegato, subordinata inesistenza dei presupposti e violazione dell’art. 5 e ss. della L. 24 febbraio 1992 n. 225.

Ad avviso dei deducenti il Commissario Delegato starebbe operando al di fuori dei termini temporali di riferimento, e un’eventuale proroga del suo mandato sarebbe comunque in contrasto con il D.P.C.M. 22 ottobre 2004, recante gli “indirizzi in materia di protezione civile in relazione all’attività contrattuale riguardante gli appalti pubblici di lavori, di servizi e di forniture di rilievo comunitario”.

Sempre secondo i ricorrenti in primo grado, sarebbe in ogni caso paradossale ritenere sussistente una situazione di imperiosa urgenza a due anni dal momento in cui si è verificato l’evento meteorologico in ragione del quale sono stati previsti e articolati i poteri concessi al Commissario delegato.

b) Violazione dell’art. 29 del D.L.vo 42 del 2004, violazione degli artt. 197 e ss. del D.L.vo163 del 2006, violazione del D.P.R. 34 del D.M. 3 agosto 2000 n. 294 e del D.M. 24 ottobre 2001.

Secondo i ricorrenti in primo grado il Commissario non sarebbe stato autorizzato a derogare alla disposizioni che regolano lo specifico profilo di competenza dei restauratori ed evidenziano che, dall’analisi dell’elenco prezzi, si possono individuare una serie di lavorazioni corrispondenti, a loro dire, ad oltre il 50% dell’importo dell’appalto e che risulterebbero chiaramente afferenti alla categoria OS2.

Dall’erronea determinazione dei lavori della sola categoria OG2, senza la contestuale individuazione di quelli afferenti alla classifica OS2, discenderebbe pertanto, ad avviso dei ricorrenti, che alla gara di cui trattasi potrebbero partecipare solo concorrenti con caratteristiche non conformi alle intrinseche caratteristiche delle lavorazioni rese oggetto di affidamento.

I medesimi ricorrenti in primo grado, a conferma della circostanza per cui le lavorazioni si riferirebbero ad interventi specializzati di restauro di beni storico – artistici, evidenziano ad esempio che il bando di gara prevede l’esecuzione di circa 1330 mq. totali di “ristabilimento della coesione delle superfici marmoree lavorate mediante impregnazione per mezzo di pennelli, siringhe, pipette, a seguito o durante le fasi della pulitura”, per un importo di circa € 120.000,00.-, nonché l’esecuzione di mq. 160 di “preconsolidamento e consolidamento previa velatura di zone decoese e solfatate e impregnazione ad impacco con silicato di etile, a seguito o durante le fasi di pulitura” per un importo di circa € 50.000,00.-

All’esito della costituzione in giudizio e della produzione documentale delle Amministrazioni intimate (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti nelle aree archeologiche di Roma e Ostia Antica e Ministero per i beni e le attività culturali) i ricorrenti in primo grado hanno proposto motivi aggiunti di ricorso riferendo le censure testè illustrate anche all’approvazione del progetto disposta dalla Commissione giudicatrice in data 20 luglio 2009, al decreto di approvazione del Commissario n. 1 dd. 21 luglio 2009, alla determina del Soggetto Attuatore del 3 luglio 2010, con la quale si è preso atto dell’esito delle procedure di selezione del contraente svoltesi in data 22 aprile 2010 ed è stata autorizzata la stipulazione del contratto, nonché alla lettera di invito alla gara Prot. 2137 dd. 18 marzo 2010.

I medesimi ricorrenti hanno – altresì - proposto avverso tutti gli atti impugnati i motivi aggiunti di ricorso qui appresso descritti.

a) Incompetenza del Commissario Delegato, subordinata inesistenza dei presupposti e violazione dell’art. 5 e ss. della L. 225 del 1992.

Ad avviso dei deducenti, anche se il D.P.C.M. 13 gennaio 2010 ha disposto sino al 31 dicembre 2010 la proroga dello stato di emergenza nel settore di cui si verte, ciò confliggerebbe con le direttive adottate con il predetto D.P.C.M. 22 ottobre 2004 in materia di attività contrattuale degli organi di protezione civile

b) Violazione dell’art. 29 del D.L.vo 42 del 2004, dell’art. 197 e ss. del D.L.vo 163 del 2006, del D.P.R. 34 del 2000, del D.M. 294 del 2000 e del D.M. 420 del 2001.

I ricorrenti in primo grado rimarcano che il Commissario Delegato non avrebbe comunque potuto derogare alla specifica disciplina dettata in materia di restauro, rilevando in particolare che, tra le superfici decorate, non potrebbero farsi rientrare esclusivamente le decorazioni policrome e le lastre di materiali nobili, e che – per contro – nella disciplina anzidetta devono essere inderogabilmente ricondotti anche tutti quei monumenti che usano in maniera decorativa la loro stessa struttura costitutiva.

c) I medesimi ricorrenti reputano – altresì – che nella specie siano stati violati anche gli artt. 3, 55 e 123 del D.L.vo 163 del 2006.

1.2. Con sentenza n. 35332 dd. 3 dicembre 2010 la Sezione I dell’adito T.A.R. ha respinto il ricorso. e i motivi aggiunti di ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese di giudizio.

In sintesi, il giudice di primo grado ha posto a fondamento della propria sentenza le seguenti considerazioni.

1) Il Commissario Delegato è stato nominato con ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n.3747 dd. 12 marzo 2009 in relazione ai danni cagionati dagli eventi meteorologici del novembre e del dicembre 2008, e il suo mandato è stato prorogato fino al 31 dicembre 2010 per effetto del D.P.C.M. 13 gennaio 2010 in modo da consentire il rientro dall’emergenza in un contesto di ordinarietà; peraltro, con D.P.C.M. 16 luglio 2010 lo stato di emergenza è stato revocato, in considerazione dell’avvenuto raggiungimento degli obiettivi ai quali erano stati finalizzati gli interventi “di carattere straordinario e derogatorio”.

2) Lo stato di emergenza è stato nella specie dichiarato in applicazione dell’art. 2, lett. c), della L. 225 del 1992 ( “calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari”) nell’esercizio di poteri ampiamente discrezionali, e la circostanza che la proroga dello stato stesso è stata dichiaratamente disposta al fine di consentire il rientro dall’emergenza in un contesto di ordinari età esclude ex se la fondatezza della censura di “cristallizzazione” della situazione in atto.

3) Va respinta la censura di violazione della disciplina contenuta nel D.P.C.M. 22 ottobre 2004, posto che la disciplina medesima reca i criteri ai quali devono attenersi gli organi deputati a gestire le situazioni di emergenza e, conseguentemente, non riguarderebbero la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri.

4) Il nodo fondamentale del contendere attiene per certo alla qualificazione degli interventi da realizzare e, “in relazione alla complessità del dibattito tecnico scientifico in materia e alla difficoltà di operare una netta distinzione tra superfici decorate e architettura … appare comunque chiara la volontà del legislatore … di affidare, in esclusiva, ai restauratori di opere d’arte, solo “apparati specifici e architettonicamente ben circoscritti”; né la superficie decorata può identificarsi con la stessa essenza del bene sottoposto a tutela, “perché siffatto criterio applicativo impedirebbe sempre l’emersione di lavorazioni afferenti alla categoria del “restauro architettonico”, con conseguente necessità di un’espressa disposizione legislativa – allo stato, insussistente – per rendere fondata la censura dedotta nel ricorso (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata).

5) Non sono ravvisabili violazioni della disciplina relativa allo svolgimento delle procedure ristrette, salvo che per alcuni profili riguardanti i termini di pubblicazione, nella specie peraltro non rilevanti.

2.1. I ricorrenti in primo grado hanno pertanto proposto l’appello in epigrafe, chiedendo la riforma di tale sentenza.

2.2. Con un primo ordine di censure gli attuali appellanti rilevano che il fulcro del ragionamento seguito dal giudice di primo grado si incentra sull’assunto dianzi riportato per cui, stante l’affermata difficoltà di operare una netta distinzione tra superfici decorate e architettura, risulterebbe comunque chiara la volontà del legislatore di affidare, in esclusiva, ai restauratori di opere d’arte, solo “apparati specifici e architettonicamente ben circoscritti” e che la superficie decorata potrebbe identificarsi con la stessa essenza del bene sottoposto a tutela “perché siffatto criterio applicativo impedirebbe sempre l’emersione di lavorazioni afferenti alla categoria del “restauro architettonico”: tant’è che solo un’espressa disposizione legislativa – allo stato, insussistente – potrebbe confortare la tesi sostenuta innanzi allo stesso T.A.R.

I medesimi appellanti affermano che tale assunto risulterebbe, di per sé, perfettamente reversibile, posto che potrebbe in ogni caso pervenirsi al risultato di escludere la rilevanza della previsione normativa sull’esclusività del restauro delle superfici: e ciò a vantaggio esclusivo delle competenze professionali edilizie che devono intervenire sulle strutture, con conseguente disapplicazione di fatto della disciplina specifica in vigore per il restauro e per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle superfici decorate.

Gli appellanti rimarcano che, proprio rendendosi conto di ciò, in sede di ricorso in primo grado essi avevano ben precisato che il criterio discriminante al riguardo non poteva identificarsi in via esclusiva con quello della qualità del bene (intrinsecamente foriero di conseguenze equivoche), dovendosi pertanto considerare in via concomitante anche quello della natura degli interventi da eseguire, nel caso di specie agevolmente deducibile dalle voci di tariffa applicate.

Tali voci, infatti, risulterebbero a loro avviso ben chiare ed univoche nell’indicare interventi di esclusiva competenza dei restauratori di opere d’arte: e ciò, anche al di là dell’incerto significato assunto dalle espressioni verbali utilizzate per la descrizione degli interventi oggetto dell’affidamento.

Gli appellanti rimarcano pure che la gara era stata espressamente indetta per il restauro e il ripristino delle superfici decorate del tempio e che la relativa valutazione economica è stata effettuata con riguardo alle corrispondenti e ben più onerose tariffe di intervento, con la conseguenza che la motivazione della sentenza finirebbe per superare e sostituire la stessa motivazione dei provvedimenti impugnati, conseguendo in tal modo un risultato per certo precluso al giudice.

In tal senso gli appellanti valorizzano il contenuto della perizia della Prof.ssa Donatella Fiorani, ordinario di Restauro Architettonico dell’Università “La Sapienza” di Roma, ad alcune parti della quale si richiama anche la sentenza impugnata, laddove segnatamente si afferma che “le superfici decorate e quelle non decorate prevedono, per gli interventi applicati sulle due tipologie di manufatto, manualità, tempi e costi ben diversi”.

Né, sempre secondo gli appellanti, andrebbe sottaciuto che il termine “consolidamento” utilizzato nella specie dall’Amministrazione per la descrizione dell’oggetto del bando di gara assumerebbe nel campo del restauro un’accezione alquanto ampia e che si estende dall’ambito del rinforzo strutturale a quello corticale o di superficie, e che nel caso di specie soltanto l’analisi delle lavorazioni complessivamente dedotte nell’oggetto dell’affidamento consentirebbe di comprendere che le lavorazioni medesime si riferiscono al consolidamento della superficie.

In tal senso – rimarcano sempre gli appellanti – nel computo le voci di consolidamento sono raggruppate nel capitolo relativo al “consolidamento superfici”, non esistendo – per contro – un ulteriore capitolo relativo al “consolidamento struttura”, con la conseguenza che l’importo delle relative lavorazioni risulterebbe del tutto afferente alla categoria specifica OS2, come del resto le singole voci nn. 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27 e 28 che si riferiscono al “ristabilimento della coesione delle superfici marmoree”, al “preconsolidamento di zone decoese o solfatate”, alla “riadesione di scaglie” o di “frammenti di dimensioni limitate”, al “consolidamento di fatturazioni tra parti non separabili”, alla “stuccatura” e alla “microstuccatura nei casi di microfratturazioni e microfessurazioni”.

Da ciò emergerebbe pertanto che gli interventi testè descritti interesserebbero uno spessore di poche decine di millimetri e che non sarebbero pertanto deputati a risolvere fenomeni di degrado strutturale, come ad esempio eventuali azioni di schiacciamento sulle colonne, significativamente non previsti dall’elenco prezzi in gara.

Per quanto segnatamente attiene alle voci nn. 19 e 20 gli appellanti rilevano che la prima attiene a “superfici marmoree poco lavorate” per un’estensione di mq. 200, nel mentre la seconda ha per oggetto “superfici marmoree molto lavorate”, a loro volta estese per mq. 530, e che comunque anch’esse risulterebbero ragionevolmente riconducibili alla categoria specifica OS2.

Analoga conclusione gli appellanti assumono anche per le voci nn. 15 e 16 del computo, aventi ad oggetto le “parti aggettanti dei capitelli e quota parte della trabeazione” , nonché per la voce n. 17, relativa invece alla “lavorazione dell’abaco”, ed evidenziano che le uniche lavorazioni attinenti al consolidamento della struttura architettonica sarebbero descritte come “trattamento testate di catene capichiave e grappe in ferro” . le quali peraltro non riguarderebbero la posa in opera di presidi finalizzati al rinforzo statico della struttura edilizia, ma la semplice pulitura superficiale delle catene già in opera, la sostituzione di tre perni e il trattamento per l’arresto dell’ossidazione.

Gli appellanti rilevano pure che le operazioni descritte come “pulitura superfici”, “consolidamento superfici” e “revisione cromatica”, da eseguirsi su tutta la superficie del tempio, pari a mq. 570, non risulterebbero finalizzati al consolidamento statico dello stesso.

Gli appellanti traggono conforto per la propria tesi dalla circostanza molte delle lavorazioni previste dal computo predisposto dall’Amministrazione affidante non sarebbero reperibili nei prezziari edili, bensì nel prezziario “Dei – Restauro dei Beni Artistici” redatto dalla stessa Associazione Restauratori d’Italia.

Gli appellanti reputano necessario anche un “corretto confronto tra gli ambiti di pertinenza della categoria generale OG2 e quelli della categoria specialistica OS2” (cfr. pag. 17 dell’atto di appello).

A tale proposito essi rimarcano che entrambe fanno riferimento ad un’imprenditoria che prevede idonea qualificazione da parte di organismi di attestazione (SOA) e una certificazione di conformità del sistema di gestione (ISO) oltre la terza classifica e che, peraltro, la differenza tra categoria generale e categoria specialistica era a quel tempo puntualmente descritta nelle premesse dell’allora vigente Allegato A al D.P.R. 34 del 2000.

Premesso, quindi, che ai fini di tale disciplina per “opera” o per “intervento” si intende un insieme di lavorazioni capace di esplicare funzioni economiche e tecniche, va rilevato quanto segue.

a) La qualificazione in ciascuna delle categorie di opere generali, individuate con l’acronimo “OG”, è conseguita dimostrando capacità di svolgere in proprio o con qualsiasi altro mezzo l’attività di costruzione, ristrutturazione e manutenzione di opere o interventi per la cui realizzazione, finiti in ogni loro parte e pronti all’uso da parte dell’utilizzatore finale, siano necessarie una pluralità di specifiche lavorazioni.

La qualificazione presuppone effettiva capacità operativa ed organizzativa dei fattori produttivi, specifica competenza nel coordinamento tecnico delle attività lavorative, nella gestione economico-finanziaria e nella conoscenza di tutte le regole tecniche e amministrative che disciplinano l’esecuzione di lavori pubblici.

Ciascuna categoria di opere generali individua attività non ricomprese nelle altre categorie generali.

b) La qualificazione in ciascuna delle categorie specializzate, individuate con l’acronimo “OS”, è viceversa conseguita dimostrando capacità di eseguire in proprio l’attività di esecuzione, ristrutturazione e manutenzione di specifiche lavorazioni che costituiscono di norma parte del processo realizzativo di un’opera o di un intervento e necessitano di una particolare specializzazione e professionalità.

La qualificazione presuppone effettiva capacità operativa ed organizzativa dei fattori produttivi necessari alla completa esecuzione della lavorazione ed il possesso di tutte le specifiche abilitazioni tecniche ed amministrative previste dalle vigenti norme legislative e regolamentari.

Le lavorazioni descritte in corrispondenza delle categorie generali, nonchè in corrispondenza delle categorie specializzate e per le quali nella tabella “corrispondenze nuove e vecchie categorie” -parimenti annessa al D.P.R. 34 del 2000 - è prescritta la qualificazione obbligatoria, qualora siano indicate nei bandi di gara come parti dell’intervento da realizzare, non possono essere eseguite dalle imprese aggiudicatarie se prive delle relative adeguate qualificazioni.

Secondo gli appellanti, risulterebbe ben evidente che nella declaratoria della categoria generale OG2 la locuzione definitoria “un insieme coordinato di lavorazioni specialistiche” ivi contenuto sottintenderebbe proprio quanto enunciato nelle premesse dello stesso allegato A al D.P.R. 34 del 2000, ossia che l’ambito dei interventi è esteso a lavorazioni specifiche nell’ambito delle categorie generali, sempreché le lavorazioni stesse “non necessitino di una particolare specializzazione e professionalità”, e non ricadano quindi nell’ambito riservato alle lavorazioni specialistiche.

In tal modo, quindi, gli appellanti negano che sussista l’onnicomprensività nel senso indicato dalla sentenza impugnata, la quale – pertanto – si collocherebbe per questa via in netta antitesi con la riserva stabilita in materia di lavori di restauro dal D.L.vo 42 del 2004.

Gli appellanti conclusivamente ribadiscono che la categoria generale OG2 non può per certo garantire le competenze tecniche della categoria specialistica OS2, rese oltre a tutto obbligatorie in esecuzione del D.L.vo 42 del 2004 per effetto del D.M. 294 del 2000 come modificato dal D.M. 420 del 2001 e caratterizzate dall’obbligatoria presenza di un direttore tecnico con la qualifica di restauratore di beni culturali e di un organico operativo composto da restauratori e collaboratori restauratori in percentuali predefinite.

Invero – rimarcano sempre in tal senso gli appellanti – coloro che sono abilitati a eseguire lavorazioni rientranti nella sola categoria generale OG2 potrebbero pure di propria iniziativa dotarsi di uno o più restauratori di beni culturali al fine dell’esecuzione delle lavorazioni comprese nella categoria specifica OS2, ma risulterebbe altrettanto assodato che nessuna stazione appaltante potrebbe pretenderne la presenza in organico, come del resto non sarebbe in tal modo obbligatoria la presenza nell’organico medesimo di un direttore tecnico con specifica formazione nel settore del restauro di superficie; e, per contro, soltanto l’affidamento dei lavori con l’esplicita riconduzione degli stessi alla categoria specifica OS 2 comporterebbe l’assunzione di tali obblighi in capo alla stazione appaltante medesima.

Gli appellanti affermano che l’insieme di tali notazioni sarebbe stato ben considerato anche dallo stesso progettista dei lavori, il quale avrebbe non a caso ascritto gli stessi alla categoria specialistica OS2.

2.3. Con un ulteriore ordine di censure gli appellanti, nell’evidenziare che nel D.P.C.M. 16 luglio 2010 si afferma – tra l’altro – che “sono venute meno le ragioni che avevano giustificato la dichiarazione dello stato di emergenza” medesimo e che, peraltro, si ravvisa “la necessità che si proceda al completamento degli interventi ancora in corso di ultimazione mediante utilizzo degli strumenti della normativa “a regime”, reputano che nella sentenza impugnata non è stata da ciò tratta alcuna conseguenza, sembrando che il giudice di primo grado sia stato indotto alla sua decisione sia dalla ricomprensione dell’intervento per cui è causa nel contesto di un “piano” già approvato dal Commissario Delegato, sia dalla circostanza che i relativi lavori erano già stati aggiudicati.

Secondo gli appellanti medesimi, infatti, nella constatata sopravvenienza di un provvedimento di revoca della situazione assunta a presupposto e di qualsivoglia dichiarata salvezza delle procedure in corso (e, anzi – a loro dire – nella riscontrata presenza di un’espressa indicazione contraria in tal senso) il medesimo giudice di primo grado avrebbe quanto meno dovuto indagare presso le Amministrazioni intimate l’esistenza e la permanenza del loro interesse al mantenimento degli effetti degli atti impugnati.

Né – sempre secondo gli appellanti – varrebbe il rilievo, contenuto nella stessa sentenza impugnata, secondo il quale nel procedimento di affidamento da loro contestato in primo grado si riscontrerebbero “deroghe” significative e rilevanti, posto che la mancata applicazione della specifica disciplina vigente in materia di lavori di restauro costituirebbe, per contro, ex se una vistosa “deroga” che sostanzia il vizio di violazione di legge.

2.4. Con un ultimo ordine di motivi gli appellanti contestano l’assunto della sentenza impugnata secondo il quale la dichiarazione di emergenza sarebbe intervenuta come espressione di poteri largamente discrezionali attribuiti dalla stessa L. 225 del 1992 e successive modifiche all’Amministrazione affidante, e che pertanto la proroga della dichiarazione medesima al 31 dicembre 2010 sarebbe del pari logica e giustificata, né sarebbe comunque in contrasto con quanto previsto dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri dd. 22 ottobre 2004, essendo quest’ultima diretta a regolare la sola attività di esecuzione degli interventi.

Gli appellanti rilevano in tal senso che l’illogicità della proroga sarebbe confortata dall’esame delle considerazioni, dianzi qui riassunte al § 2.3, sulla portata della revoca poi disposta nei riguardi dello stato di emergenza medesimo.

Né, sempre ad avviso degli appellanti, la sentenza impugnata avrebbe considerato che la predetta direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri dd. 22 ottobre 2004 si configurerebbe non solo come istruzione impartita alle amministrazioni competenti ad operare in materia, ma anche quale rimeditazione ed “aggiustamento” dei margini entro i quali risulta possibile intervenire con i poteri di deroga giustificati dallo stato di emergenza: margini che, nella specie, sarebbero stati disattesi dalle Amministrazioni intimate senza che il giudice di primo grado traesse da ciò le dovute conseguenze.

2.5. Si sono costituiti anche in tale ulteriore grado di giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti nelle aree archeologiche di Roma e Ostia antica, replicando puntualmente ai sopradescritti motivi di appello e concludendo per la loro reiezione.

3. Alla pubblica udienza del 28 giugno 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto.

4.2. Il Collegio rileva innanzitutto che l’atto di appello sostanzialmente ripropone i contenuti del ricorso presentato in primo grado.

Essi contestano soprattutto la tesi del giudice di primo grado secondo cui, nell’acclarata difficoltà di operare una netta distinzione tra superfici decorate e architettura, risulterebbe comunque chiara la volontà del legislatore di affidare, in esclusiva, ai restauratori di opere d’arte, solo “apparati specifici e architettonicamente ben circoscritti” e che la superficie decorata potrebbe identificarsi con la stessa essenza del bene sottoposto a tutela “perché siffatto criterio applicativo impedirebbe sempre l’emersione di lavorazioni afferenti alla categoria del “restauro architettonico”.

Essi reputano in tal senso che la tesi del T.A.R. si presterebbe, di per sé, ad una lettura diametralmente opposta, tanto da comportare – al limite – l’esclusione tout-court della rilevanza della disciplina specificatamente dettata in materia di restauro, determinando di fatto la sua disapplicazione a vantaggio dei professionisti edili che devono intervenire sulle strutture.

Innanzitutto, va in contrario evidenziato che i termini “edilizio” e “edile” non sono propriamente congruenti con i lavori di restauro e con le competenze professionali segnatamente dedicate in materia di restauro architettonico, tanto che nel contesto del D.P.R. 34 del 2000 la categoria di lavori “OG2 - Restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela ai sensi delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali” viene di fatto a porsi come eccezione rispetto a tutte le altre categorie generali, da reputarsi edili in senso stretto proprio in quanto tutte altrimenti finalizzate alla realizzazione di un quid novi.

Inoltre, l’art. 29, comma 6, del D.L.vo 42 del 2004, laddove dispone che, “fermo quanto disposto dalla normativa in materia di progettazione ed esecuzione di opere su beni architettonici, gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici sono eseguiti in via esclusiva da coloro che sono restauratori di beni culturali ai sensi della normativa in materia”, invero prefigura in tal senso una riserva a favore dei restauratori medesimi rispetto al totale dei lavori: anche se non va sottaciuto che in architettura non sempre risulta possibile operare lo “scorporo” del “particolare” dal “generale”.

Il caso di specie risulta, in tal senso, emblematico: il Tempio di Antonino e Faustina ha infatti subito nel tempo significative trasformazioni, posto che all’interno dell’originaria costruzione si è insediata nell’alto medioevo, mediante un collegamento con un arco in blocchi realizzato tra il VII e l’ VIII secolo, la Chiesa di San Lorenzo in Miranda.

Tale arco è stato a sua volta demolito nel 1546, nel mentre dieci anni prima, in occasione della visita a Roma dell’Imperatore Carlo V, erano già state demolite tre delle cappelle della Chiesa che occupavano il pronao

A causa dell’interramento la Chiesa è stata ricostruita in forme barocche nel 1602 ad opera di Orazio Torriani, innalzando il relativo edificio di sei metri e occupando la cella e le prime colonne del pronao.

Nondimeno, il tempio romano ha conservato il suo tipico sistema costruttivo trilitico, composto da elementi verticali portanti (base, fusto e capitello) e da elementi orizzontali portati (ossia architrave, fregio e cornice).

Sempre come detto innanzi al §1.1., la categoria generale “OG2 - - Restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela ai sensi delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali” ha per oggetto “lo svolgimento di un insieme coordinato di lavorazioni specialistiche necessarie a recuperare, conservare, consolidare, trasformare, ripristinare, ristrutturare, sottoporre a manutenzione gli immobili di interesse storico soggetti a tutela a norma delle disposizioni in materia di beni culturali e ambientali”, e “riguarda altresì la realizzazione negli immobili di impianti elettromeccanici, elettrici, telefonici ed elettronici e finiture di qualsiasi tipo nonchè di eventuali opere connesse, complementari e accessorie”, nel mentre la categoria specializzata “OS2 - Superfici decorate e beni mobili di interesse storico ed artistico”, riguarda “l’esecuzione del restauro, della manutenzione ordinaria e straordinaria di superfici decorate di beni architettonici e di beni mobili, di interesse storico, artistico ed archeologico”.

Da tali definizioni risulta, quindi, che l’individuazione della categoria competente avviene in base sia alla circostanza che l’intervento possa configurarsi – o meno – quale “insieme coordinato di lavorazioni specialistiche”, sia all’intrinseca natura del bene reso oggetto di intervento.

Dalle definizioni medesime non consta – come, per contro, sostengono gli appellanti – che la categoria competente sia individuata dalle lavorazioni considerate per se stanti, ovvero dalle voci di prezziario.

Più in generale, non è rilevabile nel “sistema” alcun automatismo tra voci di tariffa applicate ed esclusiva competenza dei restauratori nelle correlative lavorazioni; e, ove pur si volesse sostenere che alcune lavorazioni pertengono in via esclusiva ad una professionalità piuttosto che ad un’altra, il collegamento dovrebbe comunque porsi con la figura del restauratore e non già, necessariamente, con il restauratore – esecutore di lavori di restauro e di manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici di cui all’art. 29, comma 6, del D.L.vo 42 del 2004, che tale diviene soltanto allorquando comprova la rispondenza ai requisiti generali e speciali di cui agli artt. 2 e 3 del D.M. 294 del 2000 come modificati dal D.M. 420 del 2001.

Né va sottaciuto che la stessa intestazione della lettera di invito alla gara reca la testuale indicazione di “lavori di consolidamento delle superfici marmoree, verifiche statiche per la conservazione del monumento e la sicurezza del pubblico”, con palese assenza di qualsivoglia riferimento al restauro e al ripristino di superfici decorate, a meno che – come puntualmente denota la difesa delle Amministrazioni intimate – non si voglia intendere la locuzione “marmoree”, di per sé indicante l’utilizzazione di un materiale da costruzione, come equipollente a “decorate”, locuzione che a sua volta indica un trattamento apportato ad una cosa (cfr. pag. 33 della memoria di costituzione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Commissario delegato per la realizzazione degli interventi urgenti nelle aree di Roma e di Ostia Antica).

Ad avviso del Collegio, inoltre, non può reputarsi dirimente il richiamo degli appellanti alla relazione della Prof.ssa Donatella Fiorani laddove afferma che “le superfici decorate e quelle non decorate prevedono, per gli interventi applicati sulle due tipologie di manufatto, manualità, tempi e costi ben diversi”.

Il richiamo stesso, infatti, costituisce estrapolazione di un ragionamento ben più ampio della studiosa, di per sé insufficiente per rendere comprensibile l’intero senso del suo pensiero, posto che, immediatamente dopo l’assunto surriportato, la Prof.ssa Fiorani precisa che “le superfici decorate e quelle non decorate prevedono, per gli interventi applicati sulle due tipologie di manufatto, manualità, tempi e costi ben diversi. Esistono comunque, come s’è detto, esigenze e procedure che fanno della superficie architettonica un elemento profondamente vincolato – per valori storici e figurativi, per natura tecnologica e strutturale, per modalità di manifestazione del degrado e dei dissesti – all’intera realtà costruttiva della fabbrica”.

Detto ciò, il Collegio reputa del tutto convincente l’assunto della letteratura specialistica in materia, proposto dalla difesa delle Amministrazioni intimate, secondo il quale “l’architettura, per conseguire la propria compiuta, piena estrinsecazione (non solo figurativa) ha inequivocabilmente bisogno di una struttura e di un aspetto … relazionato … ad essa struttura. L’ossatura portante, puntuale o diffusa, in definitiva enucleabile e concentrata, ovvero dispersa ed indifferenziata nel corpo murario, è un fattore immancabile nel linguaggio costruttivo come tale. Ogni edificio, infatti, ha pur sempre bisogno di un meccanismo statico di sostegno” (così Paolo Fancelli, Struttura e aspetto tra teoria e tecnica, in Restauro e Consolidamento, a cura di Aldo Aveta, Stella Casiello, Francesco La Regina, Renata Picone, Roma 2005, Manconi Editore, pag. 72).

Traendo le dovute conclusioni da tutto quanto sopra, l’esclusività del restauratore di beni culturali di cui all’art. 29, comma 6, del D.L.vo 42 del 2004 e al combinato disposto delle definizioni delle categorie OG2 e OS2 va circoscritta ai soli interventi di conservazione su “beni mobili o su superfici decorate di beni architettonici”, ma non riguarda il concetto di “superficie” genericamente inteso.

Ciò significa, quindi, che – a differenza da quanto sostenuto dagli appellanti - è ragionevolmente impossibile distinguere tra la superficie corticale delle colonne del tempio e il nucleo interno delle stesse, avuto riguardo soprattutto a quanto evidenziato dalle analisi compiute agli effetti della redazione della perizia di spesa, ossia che i distacchi “a placca” del marmo cipollino erano sensibilmente profondi (10 – 15 cm.) e tali, dunque, da coinvolgere la stessa stabilità del colonnato e della struttura poggiata su di esso.

Né va sottaciuto che, ove si aderisse alla tesi degli appellanti e si volessero considerare, contro ogni logica, scomponibili i capitelli corinzi delle colonne predette, ossia da un lato gli elementi vegetali intesi essenzialmente quali elementi decorativi e gli echini quali elementi strutturali che sanciscono il passaggio tra i fusti delle colonne e le trabeazioni, dovrebbero essere disposti due diversi affidamenti in dipendenza di due categorie di lavorazioni: OG2 per gli echini e OS2 per gli elementi vegetali di ornamento dei capitelli, con ben intuibili moltiplicazioni dei costi e dei tempi dell’intervento: e ciò, senza sottacere che in tal modo verrebbe ad essere di fatto disapplicato proprio lo stesso assunto fondante della categoria OG2, scilicet la possibilità di svolgere un “insieme coordinato di lavorazioni specialistiche”, possibile proprio per la complementarietà dei profili professionali degli operatori presenti nell’impresa che opera nel contesto di tale categoria generale di lavorazioni.

A ben vedere, gli stessi attuali appellanti, anche nel giudizio di primo grado non avevano contestato la possibile presenza del restauratore nell’organico dell’impresa abilitata per le lavorazioni della categoria OG2, ma avevano rimarcato la “non obbligatorietà” della presenza stessa.

A tale proposito, risulta corretta la notazione delle Amministrazioni intimate secondo cui il capitolato speciale dei lavori in questione consente di indicare le prescrizioni tecniche volte a garantire la corretta esecuzione delle opere poste a base dell’affidamento e che la presenza del restauratore – inteso quindi come presenza di professionalità ma non come restauratore OS2 – può per certo configurarsi quale prescrizione tecnica richiesta per alcune delle tipologie di intervento dedotte nell’affidamento medesimo, come ad esempio la “pulitura superfici”, il “consolidamento cromatico” e la “revisione cromatica”, invero considerate dagli appellanti a fondamento della propria tesi, ma in ordine ai quali parimenti si ripropongono le stesse problematiche che rendono nella specie irragionevole una dissociazione dei relativi interventi in due tipologie di lavorazioni, l’una “superficiale” e specialistica, l’altra “statica” e generale: e ciò in un contesto che fa diventare anche fisicamente difficoltosa la distinzione medesima.

Nel medesimo contesto risulta, quindi, del tutto apodittico (e, comunque, privo di qualsivoglia supporto documentale) l’assunto degli appellanti secondo il quale il progettista dei lavori avrebbe globalmente ascritto gli stessi alla categoria specialistica OS2.

Né, ancora, va sottaciuto che è incongruente, ai fini della riconducibilità di alcune delle lavorazioni rese oggetto di affidamento alla sola categoria specialistica OS2, il riferimento al prezziario dell’Associazione dei Restauratori d’Italia; va evidenziato che esso non è vincolante, né esclusivo, e che nulla pertanto ha impedito agli operatori edili di presentare comunque la propria offerta al riguardo, tra l’altro con prezzi comunque inferiori rispetto a quelli dell’Associazione predetta.

E, soprattutto, non va sottaciuta la non rispondenza al vero dell’assunto degli appellanti secondo il quale l’operato della stazione appaltante sarebbe foriero di determinare la sostanziale disapplicazione della disciplina speciale delle lavorazioni di restauro complessivamente costituita dall’art. 29, comma 6, del D.L.vo 42 del 2004, dal D.M. 294 del 2000 come modificato dal D.M. 420 del 2001 e dalla declaratoria della categoria specialistica OS2: depongono, infatti, in senso assolutamente contrario a tale tesi i casi - documentati dalle Amministrazioni intimate - degli affidamenti delle lavorazioni nella Chiesa di Santa Maria Antiqua (fondata nel VI secolo d.C., “riemersa” nel 1847 e parimenti ubicata nel compendio archeologico dei Fori Imperiali, segnatamente ai piedi del Palatino, e materialmente collocata in una serie di costruzioni risalenti con estrema probabilità all’epoca di Domiziano: quindi, con problematiche ragionevolmente non dissimili da quelle della presente causa, ma ivi risolte a favore dei restauratori), nella tenuta di Santa Maria Nova sulla Via Appia Antica e per gli stucchi del Mausoleo del Quadraro.

4.3. Per quanto attiene alle residue censure degli appellanti, va evidenziato che:

a) tutto quanto sopra non sostanzia alcuna deroga al regime degli artt. 29 e 118 del D.L.vo 42 del 2004, essendo stata nella specie puntualmente applicata anche nello stato di emergenza e, comunque, fin dove possibile, la disciplina specifica in materia di restauro;

b) si è legittimamente provveduto sia per la proroga che per la cessazione dello stato di emergenza;

c) non è stata fatta alcuna deroga sostanziale alla disciplina contenuta nella direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 ottobre 2004.

Pertanto, non può che essere ribadito quanto segue.

1) La dichiarazione dello stato di emergenza è stata originariamente determinata da una situazione riconducibile alla previsione di cui all’art. 2, lett. c), della L. 225 del 1992, il cui apprezzamento in fatto rientra in una sfera di amplissima discrezionalità, riservata all’Amministrazione (cfr. al riguardo, ad es.,Cons. Stato, Sez. VI, 8 marzo 2006 n. 1270) e, nondimeno, nella specie correttamente svolto, posto che la disposizione testè riferita contempla, quali presupposti della dichiarazione dello stato di emergenza, non solo calamità naturali ma anche “altri eventi”, non delimitati né definiti tipologicamente, purché “per intensità ed estensione” non possano essere fronteggiati con mezzi ordinari.

Come puntualmente evidenziato dallo stesso giudice di primo grado, il legislatore si è dunque basato in proposito su di un criterio oggettivo, ossia l’esistenza di una situazione che necessiti di interventi straordinari: e ciò, quindi, indipendentemente dalla causa che l’abbia determinata, ovvero dall’eventualità che si tratti di una situazione endemica, essendo ormai acquisito che il potere di ordinanza può essere legittimamente esercitato anche sussistendo da tempo la situazione di fatto per cui si procede (così, nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. IV, 30 maggio 2005 n. 2795).

Nel caso di specie, nelle premesse del provvedimento di proroga, si fa espresso ed inequivoco riferimento alla necessità “di completare gli interventi straordinari in corso di esecuzione e le attività già programmate finalizzate al superamento della situazione emergenziale”, al fine di consentire “il rientro in un contesto di ordinarietà”.

La ragionevolezza di tale motivazione non risulta invero scalfita dalla considerazione degli appellanti secondo la quale la proroga del regime emergenziale evidenzierebbe di per sé una sorta di “cristallizzazione” della situazione in atto: infatti, il “rientro nell’ordinarietà”, ossia il regime di transizione non può che essere agevolato mediante opere, già progettate o in corso di realizzazione, alla quali, attraverso l’esercizio dei poteri straordinari, è stata impressa una decisa accelerazione.

Nella fattispecie, peraltro, neppure è stata realmente contestata la necessità della prosecuzione delle azioni intraprese dal Commissario delegato al fine di superare la situazione di emergenza e di agevolare il ritorno alla normalità.

2) Come detto innanzi, la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 ottobre 2004, recante “Indirizzi in materia di protezione civile in relazione all'attività contrattuale riguardante gli appalti pubblici di lavori, di servizi e di forniture di rilievo comunitario”, disciplina i criteri ai quali devono attenersi, nell’esercizio dei poteri in deroga loro attribuiti, le amministrazioni deputate a gestire le situazioni di emergenza, ma di per sé non contiene alcun riferimento ai presupposti in presenza dei quali può essere dichiarato lo stato di emergenza: e ciò in quanto questi ultimi sono individuati dal Presidente del Consiglio sulla base delle fonti primarie descritte al precedente punto 1).

Comunque sia, la gara relativa al consolidamento urgente delle superfici marmoree del Tempio di Antonino e Faustina è compresa nell’ambito del Piano di interventi deliberato dal Commissario Delegato e reso noto con Avviso pubblico sulla Gazzetta Ufficiale n. 140 del 27.11.2009, V ^ serie speciale, ascrivendosi a pieno titolo, pertanto, tra “gli interventi straordinari in corso di esecuzione e le attività programmate” per il cui completamento si è reso necessario il predetto provvedimento di proroga.

Ai fini dell’adozione di tale Piano, come pure ai fini della conseguente procedura ristretta segnatamente impugnata innanzi al giudice di primo grado, non si è reso necessario l’esercizio dei poteri in deroga – ancorchè in linea di principio consentito dalla stessa ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3749 del 2009, nonché dalla successiva ordinanza del medesimo Presidente del Consiglio n. 3836 del 2009 - tranne che per singoli profili, comunque estranei alla complessiva economia del giudizio, e in particolare riguardanti le modalità di informazione e all’abbreviazione dei termini di espletamento delle procedure; ossia, segnatamente:

a) i tempi di comunicazione all’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui all’art. 7, comma 8, del D.L.vo 163 del 2006;

b) la scadenza entro cui la stazione appaltante rende noto l’elenco dei lavori che intende eseguire in procedura ristretta semplificata (art. 123, comma 2, del D.L.vo 163 del 2006); la scadenza entro cui gli operatorie economici interessati presentano domanda di essere invitati (art. 123, comma 3, del D.L.vo 163 del 2006); la scadenza entro cui la stazione appaltante deve formare gli elenchi (art. 123, commi 9 e 10, del D.L.vo 163 del 2006);

c) la facoltà concessa a tutti i tipi di operatori economici interessati di essere invitati anche se per l’annualità 2010 fossero stati già raggiunti i limiti numerici previsti dall’art. 123, commi 4 e 5, del D.L.vo 163 del 2006.

5. La particolarità e la complessità delle questioni trattate consente di compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari del presente grado di giudizio.

Rimane peraltro confermato a carico della parte appellante il pagamento del contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche per entrambi gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del presente grado di giudizio.

Pone a carico della parte appellante il pagamento del contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche per entrambi gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:

 

 

Anna Leoni, Presidente FF

Andrea Migliozzi, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore

Silvia La Guardia, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 06/12/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 Autore/Fonte: www.giustizia-amministrativa.it AVVOCATO NARDELLI (STUDIO LEGALE NARDELLI)   
 

 


Autore / Fonte: WWW.GIUSTIZIA-AMMINISTRATIVA.IT

Avvocato Sante NARDELLI
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