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02 SETTEMBRE 2011 - CONSIGLIO DI STATO QUARTA SEZIONE NR.4952 DEL 02 SETTEMBRE 2011

AMBIENTE - ATTIVITA' INSALUBRI  - ART.216 DEL .T.U.L.S. - NON COMPORTA L'AUTOMATICO DINIEGO IN ZONE LIMITROFE ALL'ABITATO  IN CASO DI DIMOSTRAZIONE DA PARTE DELL'IMPRENDITORE CHE L'ESERCIZIO DELL'INDUSTRIA INSALUBRE NON ARRECHI NOCUMENTO ALLA SALUTE DEL VICINATO

 

 

 

N. 04952/2011REG.PROV.COLL.

N. 10611/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10611 del 2005, proposto da:
S.A.P.P.T. di Cecino & C. s.n.c., rappresentata e difesa dagli avv. Claudio Mussato e Nicolo' Paoletti, con domicilio eletto presso il secondo di detti difensori, in Roma, via Barnaba Tortolini n. 34;

contro

Michieli Franco, Michieli Marco e Michieli Roberto, non costituiti in giudizio;

nei confronti di

Comune di Moimacco, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Pelizzo, con domicilio eletto presso l’avv. Giuseppe De Majo in Roma, via Salaria n. 332; Franfinance Leasing Italia S.p.A., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Friuli-Venezia Giulia n. 910 del 2005, resa tra le parti, concernente rilascio di concessione edilizia;

 


 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Moimacco;

Viste le memorie difensive presentante dalle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 giugno 2011 il Cons. Guido Romano e uditi per le parti gli avvocati Nicolò Paoletti e Giuseppe De Majo, su delega dell'avv. Giovanni Pelizzo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


 

FATTO e DIRITTO

1. - La sig.ra Gentilini Lucia, proprietaria di una casa di civile abitazione confinante con il fondo sul quale insiste il complesso artigianale di proprietà della società Franfinance Leasing Italia s.p.a. proponeva ricorso al TAR del Friuli Venezia Giulia per l’annullamento della concessione edilizia n. 3 del 3 aprile 2003 rilasciata dal Comune di Moimacco a detta Società sostenendo che non sarebbe stata rispettata la distanza minima di m. 150 stabilita dall’art. 10, comma 1, lett. B) delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. di detto Comune per le industrie insalubri di prima classe, quale quella esercitata nel fondo confinante con la propria abitazione (lavorazione di rifinitura di lastre di marmo).

2.- Con la sentenza impugnata il Giudice territoriale ha accolto il ricorso principale, annullando la citata concessione edilizia, ed ha respinto il ricorso incidentale proposto dalla controinteressata Società SAPPT di Cecino & C., locatrice in leasing di un capannone industriale, con annessi uffici e servizi, del complesso artigianale citato.

In particolare, con il primo capo di motivazione il TAR ha affermato che il ricorso principale è fondato perché l’amministrazione comunale ha errato nell’interpretare la norma dell’art. 10 delle NTA al PRG, nella parte in cui impone che le industrie insalubri di prima classe, quale quella gestita dalla controinteressata SAPPT, siano a distanza di 150 metri dalle abitazioni di zona E), tenuto conto:

- che l’iniziale attività industriale insalubre era cessata con il fallimento della impresa che la esercitava (la M.A.C. s.r.l.) e non più ripresa per effetto di successivi divieti comunali che avevano sempre impedito la prosecuzione della medesima attività da parte di altre imprese;

- che, essendo rimasta soltanto una mera attività di magazzinaggio, la nuova attività di rifinitura di lastre si marmo, autorizzata con la concessione edilizia impugnata è, pertanto, a tutti gli effetti una nuova attività insalubre soggetta, in quanto tale, alle distanze minime stabilite dalle citate norme delle N.T.A.;

- che, infine, detta nuova attività non è, in ogni caso, uguale a quella iniziale, anch’essa insalubre, di carpenteria metallica.

Con il secondo capo di motivazione il Giudice territoriale ha ritenuto infondato il ricorso incidentale proposto dalla SAPPT per l’annullamento della citata norma dell’art. 10 delle NTA in quanto:

- ha ritenuto inconferente l’assunto che la norma urbanistica dell’art. 10 sarebbe in contrasto con l’art. 30 delle L.R. n. 52 del 1991 avuto presente che, nel caso in esame, non si controverte in tema di zonizzazione urbanistica, bensì della distanza minima di allocazione delle industrie insalubri di prima classe;

- ha affermato che le norme diverse da quelle urbanistiche, ma comunque attinenti alla corretta distribuzione degli insediamenti sul territorio, trovano applicazione anche in assenza di un loro espresso richiamo nello strumento urbanistico, come l’art. 216 del TU delle leggi sanitarie;

- ha ritenuto, altresì, inconferente il rilievo che il citato art. 10 consentirebbe illogicamente la continuazione dell’attività insalubre solo per le industrie installate antecedentemente alla sua vigenza, atteso che la questione controversa non attiene all’aspetto temporale ma, come già precisato, alla distanza minima di dette industrie insalubri dalle abitazioni in zona agricola.

3. - Con l’appello in epigrafe la Società SAPPT ha chiesto la riforma di detta sentenza perché il Giudice di prima istanza avrebbe errato, per un verso, ad interpretare la norma di piano applicata dal Comune per rilasciare la concessione edilizia contestata e, per altro verso, avrebbe ancora errato a respingere il ricorso incidentale, tenuto conto del parere favorevole espresso dal Dipartimento di Prevenzione dell’Azienda per i Servizi Sanitari n. 4, Medio Friuli, all’insediamento del complesso artigianale sul presupposto che, nonostante si trattasse di industria insalubre di prima classe, il suo collocamento ad una distanza inferiore ai 150 metri dagli insediamenti abitativi non recava alcun pregiudizio agli abitanti della zona, preso atto delle tecniche con le quali si lavorava all’interno di detto complesso.

Ha, inoltre, dedotto che la commistione dell’art. 10 delle NTA delle norme urbanistiche con la norma dell’art. 216 del TU delle leggi sanitarie renderebbe palese l’illegittimità di detta norma e l’erroneità dell’interpretazione di quest’ultima perché imporrebbe indiscriminatamente la distanza di 150 metri dall’abitato senza prima accertare il contenuto e le modalità di effettuazione dell’attività mediante atti di competenza di altre Autorità quale la certificazione esibita in giudizio dell’ASL citata.

4. - Gli eredi della sig.ra Lucia Gentilini, pur ritualmente evocati in giudizio, non si sono costituiti nel presente grado di giudizio.

5. - Si è costituito in giudizio con controricorso il Comune di Moimacco che ha chiesto che l’appello venga accolto ritenendo di avere correttamente rilasciato la contestata concessione edilizia. Con successiva memoria, presentata in previsione della discussione dell’appello in pubblica udienza, ha affermato che il TAR avrebbe mal interpretato sia la disposizione del secondo comma dell’art. 10 delle NTA, che riferendosi ad impianti preesistenti consentirebbe la loro riapertura purché non vi sia ampliamento come nel caso in esame, sia l’art. 216 del TU della Sanità, che non si porrebbe come limite all’attività edilizia, ma opererebbe sul distinto versante della tutela sanitaria attraverso una verifica rimessa all’autorità sanitaria che dimostrerebbe come la disposizione in esso contenuta non costituisce un divieto assoluto, ma verificabile caso per caso, come positivamente avvenuto nella fattispecie da parte della competente ASL.

6. - Nella Camera di Consiglio del 28 febbraio 2006 è stata accolta l’istanza cautelare della Società appellante di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata “…considerato che nella comparazione degli opposti interessi il danno lamentato dalla Società appellante appare prevalente rispetto a quello degli originari ricorrenti…”.

7. - La Società appellante, con memoria depositata il 3 maggio 2011, ha nuovamente illustrato le proprie ragioni insistendo, in particolare, sulle tesi poste a sostegno del proprio ricorso incidentale di primo grado, ribadendo la domanda di annullamento della norma dell’art. 10 delle NTA nella parte in cui, in assenza di ogni concreta verifica, impone il divieto assoluto di industrie insalubri a 150 metri dall’abitato.

8. - Alla pubblica udienza del 7 giugno 2011 l’appello è stato introitato per la decisione.

9. - L’appello è fondato nei sensi di seguito indicati.

9.1 - Preliminarmente ritiene il Collegio che sia opportuno richiamare il contenuto delle norme urbanistiche e di legge citate nel provvedimento impugnato in prime cure e negli scritti difensivi delle parti.

Dispone la norma del comma 2 dell’art. 10, lettera B), delle NTA del PRG di Moimacco che “… Le opere esistenti destinate a usi non rispettanti le distanze di cui al comma 1, lett. b), possono essere recuperate e integrate fino al rapporto di copertura generalmente previsto, purchè non sia aumentata la superficie per usi compresi in elenco di industrie insalubri di prima e di seconda classe, se non rispettandosi le distanze come previste in caso di costituzione, riconversione, mutamento o ripresa dopo dismissione di attività…”.

Prevede, altresì, il comma 1 del medesimo art. lett. B) delle NTA citate, una distanza di metri 150 dalle zone A, B, C, S2, S3, S4 ed S5 e dalle abitazioni di zona E “…per usi compresi in elenco industrie insalubri di prima classe…”, nel caso di “…costituzione, riconversione, mutamento o ripresa dopo dismissione di attività…”.

Stabilisce, poi, l'art. 216 del T.U. delle leggi sanitarie che: "…Le manifatture o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni insalubri o che possono riuscire in altro modo pericolose alla salute degli abitanti sono indicate in un elenco diviso in due classi. La prima classe comprende quelle che debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni; la seconda quelle che esigono speciali cautele per la incolumità del vicinato. Questo elenco, compilato dal consiglio superiore di sanità, è approvato dal Ministro per l'interno, sentito il Ministro per le corporazioni, e serve di norma per l'esecuzione delle presenti disposizioni. Le stesse norme stabilite per la formazione dell'elenco sono seguite per iscrivervi ogni altra fabbrica o manifattura che posteriormente sia riconosciuta insalubre. Una industria o manifattura la quale sia inscritta nella prima classe, può essere permessa nell'abitato, quante volte l'industriale che l'esercita provi che, per l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato. Chiunque intende attivare una fabbrica o manifattura compresa nel sopra indicato elenco, deve quindici giorni prima darne avviso per iscritto al podestà, il quale, quando lo ritenga necessario nell'interesse della salute pubblica, può vietarne l'attivazione o subordinarla a determinate cautele. Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa da lire 40.000 a lire 400.000…".

Infine, va ricordato che, in applicazione di detta norma di legge, è stato emanato il d.m. 5 settembre 1994.

9.2 - Ciò premesso, osserva il Collegio che la pronunzia emessa dal primo Giudice sia sul ricorso principale di primo grado, sia sul ricorso incidentale della attuale appellante, non è condivisibile dovendosi operare un’interpretazione della norma urbanistica applicabile alla fattispecie (art. 10 delle NTA) che sia sinergica con i principi ricavabili dalla norma statuale dell’art. 216 del T.U. leggi sanitarie n. 1265 del 1934.

La Società appellante sostiene che il primo Giudice sarebbe incorso in errore per aver omesso di considerare a fini decisori sia il parere positivo espresso dalla competente ASL all’installazione, anche a distanza inferiore ai 150 metri, dell’industria di rifinitura di lastre di marmo esercitata dalla stessa Società, sia l’avviso favorevole sul punto espresso anche dalla giurisprudenza amministrativa più recente, sia, infine, il contrasto esistente, in termini di logicità, tra le affermazioni del primo Giudice che sorreggono l’impugnata sentenza e la norma dell’art. 216 del R.D. n. 1265 del 27 luglio 1934 che, con molto più buon senso, nella formulazione vigente consentirebbe attività industriali insalubri anche a distanze dall’abitato inferiori ai 150 metri tutte le volte in cui l’imprenditore adotti speciali cautele tecniche che abbattano ogni pericolo igienico-sanitario.

Al riguardo, osserva preliminarmente il Collegio, in punto di fatto, come in atti di causa vi sia copia del parere positivo espresso sotto il profilo sanitario dalla ASL n. 4 Medio Friuli in data 15 marzo 2004, n. 24376 (depositato innanzi al TAR il 5 luglio 2004) con riguardo all’attività produttiva di cui alla contestata concessione edilizia, per cui sotto tale profilo trova rispondenza la relativa affermazione fatta dall’appellante.

Con il relativo atto, infatti, è stato ritenuto dalla competente ASL che entrambe le attività di cui alla concessione edilizia contestata (ossia rifinitura di lastre di marmo e deposito delle stesse) sono ammissibili da un punto di vista igienico-sanitario dato che “…l’industriale, a nostro parere, ha provato che, per l’introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca nocumento alla salute del vicinato e visti il preminente utilizzo dei capannoni come deposito, l’esigua quantità di lastre di marmo che la ditta dichiara di lavorare (200 mq all’anno) e la valutazione preliminare dell’impatto acustico…” e che, “…per quanto riguarda l’inclusione astratta dell’attività nell’elenco di cui al DM 5 settembre 1994 come Industria insalubre di prima classe al punto B voce 84 minerali non metallici: lavorazione, non è applicabile nel caso in questione, per i motivi sopradetti, l’obbligo di essere tenuta lontana dalla abitazioni ed isolata nella campagne…”.

Infine, è stato dichiarato dall’ASL, con lo stesso parere, la non pericolosità dell’attività anche con riferimento a quanto richiesto dal secondo capoverso dell’art. 317 del T.U. LL.SS. (vapori, gas o altre esalazioni, scoli di acque, rifiuti solidi o liquidi provenienti da manifatture…etc…), riservandosi ogni ulteriore indagine alla fase successiva all’attivazione delle lavorazioni, non potendosi essa non attenere, allo stato, “…alle dichiarazioni della Ditta…”.

Ciò premesso, osserva il Collegio, in punto di diritto, che possono trovare accoglimento le critiche mosse dalla Società alla sentenza impugnata nei modi e nei limiti di seguito indicati.

La norma urbanistica in esame (art. 10), così come l’art. 216 del T.U. LL. SS., hanno entrambi certamente lo scopo di impedire che dallo svolgimento di determinate lavorazioni possa derivare pericolo per la salute dei cittadini.

Orbene, pare al Collegio che tale scopo non possa ritenersi razionalmente perseguito allorquando la valutazione richiesta dalla citata norma urbanistica si fondi sul solo dato della distanza del manufatto (in cui esercitare l’attività insalubre) dall’abitato, previsto dalla norma stessa in (minimo) 150 metri, senza dunque verificare se esso, in quanto oggettivo limite alla libera iniziativa privata, sia o meno superabile, tenuto conto dei progressi della scienza e della tecnologia in campo di abbattimento dell’impatto delle attività insalubri.

Ciò perché, come avvertito dalla più recente giurisprudenza, ivi compresa quella espressa dallo stesso Giudice di primo grado in precedente occasione, l'installazione nell'abitato di una industria insalubre non è di per sé vietata in assoluto, dal momento che l'art. 216 T.U.LL.SS. n. 1265 del 1934 lo consente se la stessa installazione è accompagnata dall'introduzione di particolari metodi produttivi o cautele in grado di escludere qualsiasi rischio di compromissione della salute del vicinato (cfr. T.A.R. Umbria Perugia, sez. I, 04 settembre 2007 , n. 661), tenuto conto che l'inclusione di un'attività nell'elenco delle industrie insalubri non comporta automaticamente il diniego dell'autorizzazione richiesta, atteso che la pericolosità per la salute di talune attività produttive deve essere considerata non già in astratto, bensì in concreto, avendo riguardo alle misure e alle cautele suggerite dal progresso tecnico - e concretamente dispiegate dall'imprenditore - che possono essere tali da rendere innocua, grazie ad opportuni accorgimenti, anche un'attività potenzialmente nociva (cfr. T.A.R. Trentino Alto Adige, Sezione di Trento, n. 241 del 8 luglio 2006).

Peraltro, induce il Collegio a confermarsi nel convincimento sin qui espresso l’avviso ricavabile sempre dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. sez. V^, n. 1794 del 19 aprile 2005) alla stregua del quale gli art. 216 e 217 del T.U.LL.SS., che non fissano una determinata distanza da osservare, conferiscono al Comune, ben vero, ampi poteri in materia di industrie insalubri, anche prescindendo da situazioni di emergenza, a condizione però che siano dimostrati, da congrua e seria istruttoria, gli inconvenienti igienico-sanitari che eventualmente impediscano l’installazione di un tale tipo di industria.

Nel caso in esame, l’attività industriale esercitata dall’appellante Società può ritenersi correttamente autorizzata in quanto, allo stato, essa è supportata dal parere positivo espresso dalla competente Autorità sanitaria, avendo preordinato l’imprenditore specifiche cautele tecniche (cfr. parere citato) e, quindi, della sussistenza delle condizioni individuate, a ben vedere, non solo dalla norma statuale citata, ma anche da quella urbanistica, se sinergicamente interpretate per il comune scopo perseguito.

In conclusione, come già osservato da ulteriore condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio(cfr. Sez. V^, 13 ottobre 2004 , n. 6648), ciò che rileva in sede di applicazione sinergica della norma urbanistica e della norma igienico-sanitaria di legge è proprio la dimostrazione da parte dell'imprenditore che l'esercizio dell'industria insalubre, per l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, non arrechi nocumento alla salute del vicinato e non tanto la formale osservanza di una determinata distanza.

Consegue, pertanto, che, nel caso in esame, tra due interpretazioni della norma urbanistica in questione (art. 10 delle NTA), l’una fondata sul mero dato metrico recato dalla stessa, invero privilegiata dal TAR, e l’altra che, invece, che si integri con il principio generale ricavabile dal testo dell’art. 216 del T.U.LL.SS., deve ritenersi più coerente con l’intero sistema ordinamentale della materia, riguardato anche alla luce del parametro dell’art. 41 della Costituzione, la seconda di dette interpretazioni che, peraltro, essendo supportata nella specie dall’accertamento tecnico effettuato dalla competente Autorità igienico-sanitaria (ASL n. 4 Medio Friuli), ha correttamente indotto il Comune al rilascio alla Società della concessione edilizia in questione.

10. – In conclusione, è nei sensi esposti che l’appello in epigrafe può ritenersi fondato, disponendosi, poi, quanto alle spese del doppio grado di giudizio che le stesse siano integralmente compensate tra le parti, attesa la complessità interpretativa della regolazione locale applicabile al caso esaminato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello n. 10611 del 2005, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2011 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Giorgio Giaccardi, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere

Guido Romano, Consigliere, Estensore

Fulvio Rocco, Consigliere

Silvia La Guardia, Consigliere

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 02/09/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

 

Autore/Fonte: www.giustizia-amministrativa.it AVVOCATO NARDELLI (STUDIO LEGALE NARDELLI)        
 

 

 

 
 

 

 


Autore / Fonte: WWW.GIUSTIZIA-AMMINISTRATIVA.IT

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